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16 mar 2020

Il coraggio e la felicità nel tempo del Coronavirus

di Luciano Caveri

La parola "coraggio" ha molti volti. Certo la definizione più usuale è grossomodo questa: "Forza d'animo nel sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali, nell'affrontare con decisione un pericolo, nel dire o fare cosa che importi rischio o sacrificio". Già così ne abbiamo da vendere di stati d'animo in atto. Penso ai due lati della medaglia: da un lato i pazienti che si trovano a sopportare un peso enorme, caratterizzato da un percorso pieno di insidie, fatto dai sintomi, dal famoso tampone con le sue attese e poi dalla speranza di uscire dal tunnel; dall'altra il lavoro dei sanitari, fatto di fatica e sacrificio ed anche dalla legittima preoccupazione di finire essi stessi colpiti dal virus.

Ma se esiste, come modo di dire usuale, "sopportare con coraggio una malattia e le avversità che ci colpiscono", c'è anche il coraggio di dire la verità e non sempre con il "coronavirus" si è scelta questa strada maestra, come se si fosse voluto esorcizzare la malattia che si stava diffondendo e certa reticenza la stiamo evidentemente pagando. Dobbiamo avere riconoscenza di chi - come molti virologi - ha avuto «il coraggio delle proprie opinioni» a costo di apparire antipatico e fuori luogo, delle proprie azioni. Si chiama, per essere esatti, "coraggio civile", quello di cui si dà prova nell'affrontare pericoli, sfidando l'impopolarità per il bene pubblico o per amore del giusto e del vero. Ma questo "coraggio civile" significa non solo assumersi le proprie responsabilità, ma anche riconoscere i propri errori e in molti l'autocritica non l'hanno fatta. Ma non basta dare prova di coraggio, perché vivendo in società - penso al ruolo delle autorità e anche dell'informazione - bisogna infondere il coraggio in momenti di passaggio decisivi in cui non bisogna perdersi d'animo e per far questo bisogna mostrare tranquillità ma anche risolutezza. Certo dai ricordi scolastici emerge quel famoso «Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare», scrive il Manzoni nel capitolo XXV de "I promessi sposi" ed è la riflessione che Don Abbondio dice a ée stesso al termine del colloquio con il Cardinale Borromeo. Purtroppo sappiamo che c'è anche questo e che la vigliaccheria, cioè il contrario del coraggio, esiste e pesa. Queste prove che stiamo subendo con diversi gradi di ansia, con differenti responsabilità e persino consapevolezza, relativizzano la nostra vita. Nel volgere di poche settimane la nostra vita quotidiana è cambiata e sono cambiate anche le priorità. Torna in primo piano quel concetto che farà pure sorridere, che è la Felicità. Scriveva anni fa Umberto Eco, ricordando un aspetto interessante con il suo spirito graffiante, riguardante il Diritto costituzionale e quella che definisce «l'infelice formulazione della Dichiarazione d'indipendenza americana del 4 luglio 1776, in cui, con massonica fiducia nelle magnifiche sorti e progressive, i costituenti avevano stabilito che "a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità"». Paroline chiave che tornano anche nei nostri pensieri di queste ore. Il diritto alla vita, quando scopriamo che potremmo finire in ospedale, ma senza il diritto alla rianimazione e la libertà nel momento in cui misure coercitive ci impediscono ad esempio di muoverci come vorremmo. Prosegue Eco con il suo stile fra leggerezza e profondità culturale: «La questione è che la felicità, come pienezza assoluta, vorrei dire ebbrezza, il toccare il cielo con un dito, è situazione molto transitoria, episodica e di breve durata: è la gioia per la nascita di un figlio, per l'amato o l'amata che ci rivela di corrispondere al nostro sentimento, magari l'esaltazione per una vincita al lotto, il raggiungimento di un traguardo (l'Oscar, la coppa, il campionato), persino un momento nel corso di una gita in campagna, ma sono tutti istanti appunto transitori, dopo i quali sopravvengono i momenti di timore e tremore, dolore, angoscia o almeno preoccupazione. Inoltre l'idea di felicità ci fa pensare sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano, e anzi siamo indotti sovente a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra. Persino la felicità amorosa spesso coincide con l'infelicità di un altro respinto, di cui ci preoccupiamo pochissimo, appagandoci della nostra conquista». Però resta inteso che, in frangenti come gli attuali che sembrano film di fantascienza o horror con virus letali che infestano l'umanità (per nulla irrealistici con le armi biologiche che ci sono fra gli armamenti), certi momenti di felicità personali e persino collettivi suonano nella nostra memoria come una melodia armoniosa. E fa arrabbiare un Governo Conte in perenne rincorsa a precisare quanto era stato annunciato il giorno prima. Il dilettantismo al potere e sconcerta l'assenza di misure immediate del Governo valdostano.