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28 feb 2020

Una Legislatura regionale da dimenticare

di Luciano Caveri

Rispetto a questa Legislatura regionale, morta in culla e per nulla memorabile, si potrebbero dire molte cose in generale e per i singoli. Ci sono stati errori, si potrebbero accampare ragioni, segnalare recriminazioni, distribuire responsabilità. Ma una pagella di questo genere lascerebbe il tempo che trova. Per altro, nel susseguirsi degli eventi e nella nascita dei Governi regionali succedutisi, non esistono spazi di verginità. La "merda nel ventilatore" e la "ghigliottina popolare" sporca tutti e la lama colpisce il collo senza troppi distinguo. Eppure l'impressione da osservatore dello scenario è che quanto avvenuto non sia stato un ammaestramento e che perseverare resti, comunque sia, diabolico. Sono mancate occasioni vere per trovare soluzioni che evitassero di ritrovarsi di nuovo in situazioni di incertezza.

Personalmente ricordo solo che gli sforzi di questi anni di chi credeva in una riflessione seria sul mondo Autonomista e la sua diaspora si è scontrato sempre sulla visione personalistica di chi piegava le situazioni al proprio sedere da mettere nella poltrona giusta in una sorta di bulimia di potere priva alla fine della sostanza. Tant'è che il quadro politico e amministrativo resta cupo. Nello scrivere questo voglio dire con ulteriore chiarezza che io stesso non mi posso chiamare fuori da una generale autocritica e consola poco il fatto che le dosi che mi spettano non siano i macigni che qualcuno dovrà trascinarsi nel tempo e neppure assolve del tutto quell'onestà personale che rivendico e che non è patrimonio di tutti. E lo stesso vale per la propria coerenza di idee, visto che l'Autonomismo è etichetta che in troppi ormai usano e la loro carriera politica e loro scelte del passato raccontano storie ben diverse e certe conversioni sulla via del Consiglio regionale suonano quasi provocatorie e certamente ridicole. Sopravvivere a sé stessi in certi casi spinge a saltabeccare, fingendo però di essere solidi nelle proprie convinzioni e ci vorrebbe un confessore severo di fronte a certi peccati, che talvolta non dovrebbero prevedere perdono. Ci sono due aspetti che vanno a fagiolo in queste situazioni. Il primo emerge dalla frase «La fantasia distruggerà il potere ed una risata vi seppellirà!». Lo slogan sessantottino, già motto anarchico di fine '800 (pare usato come slogan dagli anarchici arrestati), venne all'epoca riesumato per la prima volta in Italia sui muri della facoltà di Lettere dell'Università di Roma, diventando virale e poi traslato infine come mot d'ordre - io c'ero... - del movimento del 1977. Penso a quei tempi con nostalgia, anche se poi a conti fatti le nostre "okkupazioni" erano davvero da balbuzienti della politica, ma sono storie memorabili di passione e di speranza. Ed è stata anche una palestra per imparare alcuni fondamentali, compreso il coraggio di esporsi, merce rara allora come oggi, quando certi passaggi diventano delicati e molti dapprima coraggiosi si fanno d'improvviso pavidi. Oggi di certe spinte resta solo «una risata vi seppellirà», quando risulta evidente come la fantasia al potere vale solo per restare a cavallo del proprio seggio senza alcun timore di cadere nel ridicolo. Il secondo aspetto riguarda giudizi più approfonditi sul versante politici vero e proprio e su quello storico che arriverà quando si situeranno questi anni nell'arco più vasto della storia Autonomistica contemporanea dal movimento di Liberazione ai decenni dell'Autonomia speciale. E' indubbio, infatti, che si sia in una situazione istituzionale difficile e mai come di questi tempi la credibilità della Valle d'Aosta sia stata consumata e siamo ormai borderline rispetto all'esistenza stessa di un regime Autonomistica, bollati come siamo da scandali e scandaletti. Il tempo della storia, più lungo e che neutralizza le battaglie quotidiane e i suoi veleni, ci darà - se ci saremo ancora - una visione più ampia e temo davvero che questo ultimo decennio sarà considerato un momento tragico.