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25 feb 2020

Gli emoticon che punteggiano la nostra vita

di Luciano Caveri

Come andate voi con i gruppi "Whatsapp"? Io maluccio, perché ne ho troppi e alcuni molto chiassosi. In certi casi poi sono stato inserito d'imperio da qualcuno (ora non può più avvenire con l'ultima versione) e raramente esco per non apparire antipatico e quando è avvenuto è perché non se ne poteva più, come il buontempone che mandava solo filmati i pornografici invedibili. Come già avveniva con gli SMS in modo artigianale, le messaggerie di vario genere propongono ormai immagini a iosa che sostituiscono o compendiano gli scritti. Ricorda bene Luigi Paonessa sulla newsletter di "Sociologia": «In principio furono solo sorrisi :) e faccine tristi :(. Subito dopo occhiolini ammiccanti, sguardi assonnati o linguacce. Ora, dopo circa trent'anni dalla loro prima comparsa le faccine, anche dette emoticon, smile o smiley sono entrate a far parte del nostro linguaggio a livello globale».

«Sui cellulari, nelle chat e dalle tastiere - continua Paonessa - milioni di faccine navigano da un posto all'altro del pianeta permettendo di superare le barriere linguistiche creando un linguaggio universale, capace di essere compreso da persone che parlano idiomi diversi. La parola emoticon deriva dall'unione delle parole inglesi "emotion" e "icon" ovvero una combinazione di punteggiatura che permette di esprimere graficamente l'umore di chi scrive attraverso l'uso di simboli che a differenza dei comuni segni di interpunzione si leggono inclinando la testa di novanta gradi». Più avanti osserva: «Un sondaggio di Yahoo ha permesso di scoprire che l'82 per cento dei fruitori di messaggerie le usa tutti i giorni e il 61 per cento si esprime meglio utilizzandole. La stessa ricerca ha poi permesso di suddividere gli utilizzatori per età e per tipo di emoticon maggiormente usata dando un interessante spaccato della società. Per il sociologo Alberto Abruzzese le faccine danno calore ad un tipo di comunicazione, quella on line, che è fortemente verbale. Riscaldare un messaggio professionale non è molto semplice. Diciamo che l'emoticon rende il compito più facile. (...) Per il professor Abruzzese "Il lecito, si forma attraverso l'uso, quindi, nel dubbio basta affidarsi alla "netiquette", il galateo della Rete. Questo suggerisce di usare gli smile e affini con moderazione, tranne quando si fa una battuta che potrebbe essere equivocata, mancando nella e-mail la possibilità di esprimere le sfumature. E se da un lato la policy di alcune società proibisce esplicitamente l'uso delle faccine nelle comunicazioni interne e verso l'esterno dei propri dipendenti, dall'altro ci sono multinazionali che inseriscono le emoticon (e non solo quelle più semplici) direttamente nella intranet nelle chat aziendali. I detrattori dell'eccesso d' uso delle "faccine" sostengono - forse non troppo a torto - che l'inserimento ripetuto in e-mail e sms non dipende solo dalla crescente velocità nella comunicazione, ma nasconde anche una crescente incapacità di usare il ricco vocabolario che ci fornisce la lingua italiana». Conclude l'articolo: «Tutti ormai utilizzano le emoticon. Secondo le ricerche è un fenomeno che tocca tutte le classi sociali ma sono i più giovani a farne più uso ma anche abuso. I ragazzi non telefonano più, si scrivono. Dalla mattina a nottetempo stanno lì a smanettare con i messaggini o a chattare con "amici" sparpagliati per il mondo. Frasi sincopate e faccine di emoticon: tutta la sfera comunicativa si sviluppa attraverso questi due binari. Soluzioni preconfezionate in cui specchiare i propri desideri. Parole, disegni e simboli precotti, come i cibi di Mc Donald's, ma molto efficaci nella rappresentazione del loro universo emozionale. O per meglio dire, visto che le emozioni non sono mai precotte, cifrari utilizzati alla bisogna. Segni che chi li riceve sa come decrittare in questa sorta di linguaggio dell'interiorità. La quotidianità ormai attinge alla virtualità del web per trovare nuovi modelli culturali; un'inversione di ruoli in cui non si capisce bene più cosa sia reale e cosa non». Faceva sorridere ieri su "La Stampa" un articolo di Pasquale de Matteis, che nella versione cartacea risulta infarcito ironicamente di emoticon colorati e che racconta come in una scuola abbiano sostituito i voti! Ecco cosa scrive: «Tre faccine. Tre emoticon. Tre disegni per indicare ai bambini di due classi elementari della scuola "Gianni Rodari" di Modena se il loro profitto in una data materia sia buono, accettabile o disdicevole . Dicono i dirigenti di quella scuola che la faccina aiuta a meglio comprendere la valutazione del profitto scolastico ed è comunque una sperimentazione. Dicono i sindacati degli insegnanti che ben altri sono i problemi della scuola e che gli emoticon fanno schifo assai. Dovevamo arrivarci prima o poi: l'incapacità di spiegare il contenuto emotivo di una nostra affermazione se non attraverso un disegno buffo doveva entrare nei documenti ufficiali. Era scritto. Certo, sarà importante fissare dei limiti, prima che sulla carta d'identità di noi diversamente alti compaia un faccino che si rotola sparando lacrime di ludibrio alla dicitura "altezza", o che alla voce trigliceridi dei nostri esami clinici si affianchi un cosino disperato travolto dalle lacrime. La questione però è tutt'altro che ridanciana e riguarda il mutamento in atto nella descrizione pubblica e privata di quel che ci accade. Le (gli?) emoticon fanno parte di un linguaggio più metafisico che metatestuale che è diventato da molto tempo accettabile, ancorché urticante, nelle conversazioni digitali. Le si usa senza pensarci troppo sopra , così come si legge e si scrive senza pensarci troppo sopra, si correda lo scritto col disegnino per far capire se quel "ti amo" è sincero, ironico, carnale o routine. Eppure succede qualcosa che già in passato era successa e sembrava essere linguisticamente complicata, come l'uso delle "virgolette" per enfatizzare un'intenzione non scritta attorno a una parola che da sola non bastava (c'erano poi quelli che facevano le virgolette in aria per sottolineare la parola anche quando parlavano, ma ormai - grazie al cielo - sono stati tutti rinchiusi in carceri di massima sicurezza). Così questo tentativo del collegio docenti di Modena di semplificare la valutazione dei bambini delle elementari legandola a una faccetta colorata, aggiunge emozione in un contesto in cui forse l'emozione sarebbe da controllare. Il bello dei voti brutti è che sono chiari: un "4" è un "4". Una faccina basita, che è?». Ci vorrebbe, a questo punto, una faccina sorridente.