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16 gen 2020

Etichette e realtà

di Luciano Caveri

Immaginiamo di entrare in un supermercato matto alla "Alice nel Paese delle Meraviglie" con un burlone che decida di divertirsi e di scompaginare le merci sulle scansie. Tipo: piselli nelle scatole di fagioli, solo carne in pescheria, nei succhi di frutta superalcolici, nelle caramelle le pastiglie della lavastoviglie. Un mondo alla rovescia spiazzante per chiunque debba fare gli acquisti. Nel supermercato della politica valdostana abbiamo visto leoni, galletti, stelle "grilline" ed alpine, giochi di parole. Ci sono autonomisti ormai di tutto le fogge come un mondo di figures della "Lego" con personaggi assai diversi fra loro. Non giudico ma osservo ed oscillo fra riso e pianto e rimpiango la partitocrazia, quando tutto finiva per essere leggibile e "pane e pane e vino al vino" senza quel «tutti autonomisti» artefatto se non contraffatto. Travestitismo, trasformismo, opportunismo che ci hanno portato dritti all'instabilità odierna. Nessuno pretendeva partiti-caserma ma neppure giochi di ruolo tipo l'Imperatore che tutto decide, i jolly che saltellano da un mazzo all'altro, lotta feroce fra eletti e propri partiti peggio che guelfi e ghibellini. Abbiamo raggiunto il fondo? Mai dire mai.

Trovo che c'è ingegno in chi trova sempre modalità nuove per far affondare nel fango l'Autonomia. Questo non è ingiusto in senso astratto, lo è perché si moltiplicano quelli che dicono, dentro e fuori dalla Valle, che il sistema autonomistico è fallito e non si capisce bene che cosa invochino in cambio. Io che cosa si potrebbe fare a Roma per muoverci lo immagino e non a caso si torna a parlare di cambiare la forma di Stato: una bella soppressione della Regione Autonoma con legge costituzionale per far finire i valdostani, come le vallate piemontesi vicine a noi, nell'Area metropolitana di Torino e sarebbe il fischio finale della nostra storia e del nostro particolarismo. Ecco perché è pericoloso che alle etichette - federalisti, autonomisti di destra, sinistra e centro, indipendentisti nuovi e evocati con seduta spiritica - non seguano spesso il contenuto di quello che si promette. Una specie di frode in commercio trasferita armi e bagagli in politica. Non conta quel che c'è dentro ma si bada all'etichetta, pensando che il consumatore - e talvolta lo si pensa a ragione segua slogan allettanti ma vuoti anch'essi di contenuto. Qualche anno fa in un suo libro Marco Revelli in "Finale di partito" citava l'intellettuale francese Pierre Rosanvallon: «Di quella che Rosanvallon chiama "la tentazione populista", intesa come l'eterogeneo, spesso confuso, ma ben riconoscibile tentativo di ridurre la complessità della vita democratica contemporanea alla semplice, nuda contrapposizione di un popolo-vittima, sano e in sé virtuoso, a un quadro politico e istituzionale corrotto e ostile. O, il che è lo stesso, come la pretesa di "risolvere la difficoltà di raffigurare il popolo resuscitando la sua [perduta] unità e omogeneità in modo immaginario", con una radicale contrapposizione e presa di distanza nei confronti di tutto ciò che "si presume gli si opponga: lo straniero, il nemico, l'oligarchia, i quadri dirigenti"». Revelli come risposta indica speranze della Sinistra così illustrate, sperando «nella formazione di un "pubblico" esigente e partecipante alla sua base. Nelle reti orizzontali di mobilitazione e d'intervento, nelle molteplici forme di "presa di parola", di tutela delle precondizioni essenziali della vita biologica e sociale (nell'affermazione e difesa dei "beni comuni"). Nei circuiti di riaffermazione di cittadinanza attiva dal basso. Nelle stesse forme sperimentali di "democrazia locale", in territori delimitati ma densi, perché in essi è ben visibile l'implicazione tra azione collettiva e vita». Quest'ultimo spunto, mondato da visioni troppo ideologiche ed anche in Valle, dio ci scampi da ideologi campati per aria che saltabeccano dagli uni agli altri, resta un vestito adatto all'esperienza autonomista valdostana, se saprà tornare alle sorgenti, ma trasferendo certi valori al mondo di oggi per evitare di essere lunatici sognatori ma buoni amministratori con visione politica.