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15 gen 2020

Armiamoci e partite

di Luciano Caveri

Quando capita, come a me, di essere stato distante da casa per qualche giorno, certe questioni incombenti della politica valdostana vengono in qualche modo inquadrate con maggior serenità. E' come se potessi vedere un po' più dall'alto lo scenario complessivo in cui si è sviluppato questo malessere che la gran parte dei valdostani avvertono, pur con diverso grado d'interesse e di consapevolezza. Per altro - parlandone dal mio punto di osservazione - in questi anni mi sono ritrovato in un ruolo diverso dal passato, quando ero eletto e facevo politica a tempo pieno, talvolta additato in questa mia nuova veste "esterna" - con tono cerimonioso - come "savant" ed era più un'epigrafe funebre che un complimento. Spesso si è trattato di un modo elegante per dire «non servi» o peggio «fai il gregario» e l'ho pure fatto scrivendo documenti ed organizzando per altri campagne elettorali e facendo talvolta da "balia".

Ora, con franchezza, di fronte a certo sfacelo di una Valle ingrigita e smarrita mi domando in modo crescente che cosa si possa fare di concreto. E me lo domandano, con diverse sfaccettature, molte persone che incontro e, visto che oggi sono un cittadino che osserva quanto avviene e null'altro, non esiste in certe sollecitazioni nessuna logica di captatio benevolentiæ per ottenere da me chissà cosa. Ed io stesso, per contro, non ho bisogno di compiacere nessuno, come fanno alcuni eletti che, ossessionati dal solo voto per stare a galla, trasformano ogni persona che vedono in un potenziale elettore da blandire. Esercizio legittimo se non diventa un modo per cambiare maschera, dicendo cose diverse a seconda di cosa possa fare colpo sull'interlocutore del momento, in barba alla coerenza delle proprie idee, piegate alla bisogna. In tanta confusione, ho seguito e seguo tante iniziative in area autonomista per trovare una strada comune per gli appartenenti. In questo solco ci sono vecchie situazioni incartapecorite, qualche barlume di speranza e persino certe novità grottesche. Quel che è certo, senza fare test di un DNA autonomista prima di sedersi al tavolo, come si fa per il riconoscimento di paternità, sarebbe bene leggere onestà d'intenti in chi si incontra. E' evidente che ogni stagione politica ha caratteristiche diverse e ad ogni crisi d'identità e di credibilità non si può reagire percorrendo strade già battute, come se nulla fosse. Il contesto italiano ed europeo e persino quello mondiale obbliga a capire dove si è oggi e non dice si era ieri e sono cambiate anche la società valdostana e la famosa identità personale e collettiva, che sono proteiformi per natura e chi le vuole chiudere in vecchi schemi parte già sconfitto. Ma certo lo sforzo di ricostruzione non può essere né operazione verticistica né modello d'importazione e neppure frutto di laboratori politici, ma operazione seria di chi crede nell'originalità di un modello politico valdostano. Vedo molte energie, ma talvolta lo scoramento viene di fronte a chi aspetta ad impegnarsi in una logica attendista che contraddice invece quel sentimento che ho del "prima che sia troppo tardi" e non sono allarmista per posa ma per convinzione. Viene in mente a proposito di chi traccheggia o si astiene da ogni impegno quell'espressione ben nota «Armiamoci e partite», frase apparentemente scherzosa, diffusasi al tempo della "Guerra d'Africa" dal poeta Lorenzo Stecchetti (1895) ed usata spesso dagli antimilitaristi o come allusione satirica a coloro che esaltano la guerra e fanno discorsi bellicosi, ma evitano di andare loro stessi a combattere. E vale in altri contesti per le persone che progettano azioni impegnative e rischiose, lasciando poi ad altri il peso e la responsabilità di eseguirle. Meglio anche in Valle chi ci metterà la faccia pulita e la concretezza indifferibile, ma non con arzigogoli per resistere o per operazioni dal fiato corto.