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01 gen 2020

Sui "buoni propositi"

di Luciano Caveri

Trovo interessante, negli articoli di fine anno, quando normalmente le notizie vere finiscono intrappolate dalla palude delle festività, l'affermarsi dei ben noti "buoni propositi" a copertura dei proponimenti cui mirare. Così come si cambiano (o forse si cambiavano) i calendari sui muri, nel passaggio d'anno si stilano elenchi mentali o scritti di cose da fare e intendimenti su cui far agire la nostra forza di volontà nel rapporto con noi stessi, con gli altri, con tutto quanto ci circonda. Si impone sul tema la celebre canzone del fantasmagorico e in questo caso sarcastico Lucio Dalla nell'"Anno che verrà": «Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando. Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla croce e anche gli uccelli faranno ritorno. Ci sarà da mangiare e luce tutto l'anno, anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno. E si farà l'amore, ognuno come gli va, anche i preti potranno sposarsi ma soltanto ad una certa età. E senza grandi disturbi qualcuno sparirà saranno forse i troppi furbi e i cretini di ogni età».

Aggiungerei l'imbattibile umorismo sardonico di Oscar Wilde, quando stigmatizza i buoni propositi: «I buoni propositi sono inutili tentativi di interferire con le leggi scientifiche. Nascono dalla pura vanità e il loro risultato è un nulla assoluto. Ogni tanto ci regalano una di quelle emozioni voluttuose e sterili che hanno un certo fascino per i deboli: è tutto quello che se ne può dire. Sono semplicemente assegni che gli uomini emettono su una banca dove non hanno un conto corrente». Eppure, eppure qualcosa in questa storia dei "buoni propositi" personalmente la ritengo non così male, se non si tratta di esercizio di stile e di nero su bianco di cose che nel concreto non si vogliono fare e scriverle lenisce la coscienza sporca, come se il solo pensiero fosse già azione. E vi spiego perché. Quando ho cominciato a far politica, non esistevano - se non in fase nascente - i computer e dunque quando ritrovo vecchie agende rinvengo, oltre quanto facevo nel corso dell'anno giorno per giorno, elenchi di cose da fare. Ricordo ad ogni cambio di Governo come, agli incontri con i nuovi premier, consegnavo la lista degli argomenti da risolvere ed erano ben più di "buoni propositi", ma il mio lavoro condensato in modo chiaro per evitare di stare alla Camera a scaldare una sedia. A problema risolto, con massima soddisfazione spuntavo, ma sapevo bene che l'incalzare degli eventi aggiungeva qualche cosa di nuovo. Mai tempo di annoiarsi. Mi è sempre piaciuto fare queste liste e direi che ho continuato a compilare questi elenchi, che trovo spesso nelle carte sulla scrivania (salvate ormai nel "notes" del telefonino) per adempiere alla maniacale esigenza di avere sempre un "tableau de bord" anche nell'attività che faccio oggi in "Rai". Ma proprio questa circostanza mi ha convinto nel tempo che non esiste una data per i "buoni propositi", per la semplice ragione che la vita è dinamica e gli elenchi devono essere conseguentemente in costante aggiornamento e cambiare con rapidità. Qualcosa è stato fatto, altro aspetta, ma altro ancora irrompe, magari mettendosi in cima alle priorità. Per cui immaginare l'uso dell'anno solare può essere comodo ma limitativo. Per cui i buoni propositi sono un ottimo abc con cui fissare obiettivi e rompere abitudini per migliorarsi, ma sono comandamenti che devono essere flessibili, perché la vita incalza. Con Simone De Beauvoir: «Choisir la vie, c'est toujours choisir l'avenir. Sans cet élan qui nous porte en avant nous ne serions rien de plus qu'une moisissure à la surface de la terre».