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25 dic 2019

La ripartenza (non ero una "Cassandra")

di Luciano Caveri

Si può scegliere una data qualunque per ragionare su di un riscatto dei valdostani, dopo un annus horribilis quale è stato il 2019. Propongo il 1° gennaio 2020 come simbolo di una ripartenza, perché altrimenti senza uno scatto di orgoglio rapido chissà dove ci potremmo trovare fra un anno, se a macerie si aggiungessero altre macerie per via di nuovi scandali grandi o piccoli. Evito la tentazione da cronista del riassunto delle vicende torbide che hanno sporcato la nostra reputazione agli occhi del mondo, perché sarebbe un esercizio che non farebbe altro che mettere il sale sulle ferite. Ma la memoria e gli occhi bene aperti sono importanti, perché in questi anni spesso c'è chi ha approfittato della smemoratezza di una parte di elettori, magari oggi imbufaliti, che hanno però il torto di avere scelto dei cavalli che già si sapevano usare del doping per le loro prestazioni elettorali, per non dire del malaffare che è la logica conseguenza di certi legami luciferini.

Come tutti e proprio per questo ho cercato di scavare nelle notizie, facendo anche la tara necessaria rispetto al rischio di eccesso di clamore e non seguendo la pista di chi ormai fa i processi in piazza, quando è bene aspettare sempre le sentenze dei Tribunali. Anche se - naturalmente - in certi casi ci sono vicende così forti da essere già chiare e obbligano ad una reazione muscolare e anche intellettuale. Sono anni - e lo sa bene chi segue questo Blog - che esprimo le mie preoccupazioni per certe derive, che non sono state solo le scelte di alleanze arruffone ed insensate pur di campare con maggioranze ballerine ed eterogenee, ma si tratta in un mondo Autonomista in cui sono confluiti "nani e ballerine" per usare una locuzione celebre negli anni Ottanta nella politica italiana per segnalare quel sottobosco di cortigiani e di affaristi avvicinatisi solo per logiche di opportunismo. Fra questi anche politici che sceglievano di cambiare casacca, salendo sul carro dei vincitori. Sembravo per alcuni una bieca "Cassandra" che seminava dubbi e preoccupazioni es oggi posso guardare un certo sfacelo con la coscienza a posto, anche se il «l'avevo detto» risulta poco consolatorio. Ho letto, specie in questi ultimi giorni, articoli su alcuni giornali profondamente ingiusti, perché non centrano il bersaglio delle responsabilità degli uni o degli altri, ma hanno scelto - nel solco di un certo giornalismo spazzatura che fa perdere copie ai giornali mese dopo mese e non per via della rivoluzione digitale - di mettere assieme storie diversissime con una logica di disprezzo e di dileggio esagerata ed offensiva verso la Valle d'Aosta. Nessuno delle Istituzioni ha risposto a tono, perché non in grado di farlo, purtroppo, o per la difficoltà di presentare le credenziali morali per poterlo fare. Il riscatto significa che la Politica riprenda un proprio ruolo di guida della comunità attorno a idee, valori, progetti, speranze che passano giocoforza attraverso i meccanismi della democrazia, che non sono buoni o cattivi, ma lo possono diventare proprio attraverso la volontà di elettori ed eletti. Non vedo all'orizzonte per ora sistemi diversi dal parlamentarismo ed ancora prima delle leggi elettorali e delle forme di governo possibili conta la volontà di fare pulizia e di trovare non logiche di "grandi intese" (come la famosa "grosse koalition" tedesca), perché maggioranza ed opposizione sostanziano il dibattito politico, ma di scegliere argomenti su cui fare confluire le energie e le visioni diverse alla ricerca di una sintesi per il presente e soprattutto per il futuro. In questi ultimi anni si è guardato alle Giustizia come elemento utile per il famoso e ormai logoro "cambiamento", ma questo - nel rispetto dei poteri e contropoteri della democrazia - può accadere come epoca eccezionale e non ordinaria. L'ordinarietà soni una società civile e una classe politica rispettose delle legge e ferocemente contrarie ad ogni forma di infiltrazione criminale, se poi si parla di 'ndrangheta non può esistere nessuna forma di connivenza con questa mafia spietata e feroce. Ha ragione, nel suo ultimo libro "Demofollia", il costituzionalista Michele Ainis ha segnalare come nella «seconda Repubblica: hanno vinto i giudici, mentre i politici hanno perso anche l'onore. Giacché alla fine della giostra l'imputato è proprio la politica, messa sotto accusa dall'opinione pubblica, dal sentimento prevalente. Che dunque s'appella alle toghe, per l'esigenza di colmare un vuoto, d'individuare un paladino dei diritti lasciati orfani dai nostri rappresentanti in Parlamento. Da qui il loro ruolo di supplenza, nella stagione in cui la politica dichiara la sua assenza. D'altronde è una legge di natura: se qualcuno lascia libera la poltrona su cui stava seduto, qualcun altro vi poserà le chiappe al posto suo. E la magistratura italiana non si è mai fatta pregare per turare i buchi del nostro ordinamento normativo. Nel 1975, con 21 anni d'anticipo rispetto alla legge votata dalle Camere, stabilì il diritto alla privacy; nel 1988 offrì tutela al convivente more uxorio (la legge sulle coppie di fatto è arrivata soltanto nel 2016); nell'agosto 2014 il tribunale per i minorenni di Roma scriveva la prima sentenza sulla stepchild adoption, un diritto che il Parlamento non ha mai tradotto in legge. Così come, d'altronde, restano nel libro dei desideri lo ius soli; la legalizzazione della cannabis; il diritto a ricevere il cognome della madre, anziché quello del padre; l'accesso del figlio adottato alle informazioni sulle proprie origini; e via via, tutte promesse che ogni fine legislatura spazza via. Ecco, è su questa geografia di lacune normative che la magistratura viene sollecitata a svolgere il mestiere del supplente. E tutto sommato non è detto che sia un male. La regola generale - quella dettata da una legge - ha infatti il pregio di scolpire un quadro certo dei diritti e dei doveri, ma talvolta pecca d'astrattezza, d'indifferenza rispetto alla multiforme varietà dei casi personali. Invece ogni sentenza ha davanti un interlocutore in carne e ossa, con le sue sofferenze, con le sue specifiche esigenze. E' il modello inglese della common law, che si regge sull'autorità del precedente giudiziario. Ma a quanto pare stiamo diventando inglesi pure noi italiani. Loro hanno avuto Brexit, noi Politexit». Credo che sia bene riflettere sul nostro modello democratico valdostano e rafforzare il ruolo del Consiglio Valle più che agognare l'elezione diretta del presidente come panacea, rinnovando la forma di Governo e la macchina burocratica per rendere tutto più veloce rispetto ai tempi attuali. Ma dal 1° gennaio bisogna sperare anche i cittadini sappiano tornare ad un impegno civile, alimentando la presenza nei partiti e movimenti, sotto qualunque forma, perché la desertificazione di questi anni e una politica ossessivamente presa dalle elezioni ha portato a ruoli apicali anche incapaci e disonesti. La Politica non è solo dibattiti infiniti in Consiglio Valle e pastette al vertice: questo potrebbe essere il primo dato da annotare.