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02 set 2019

Davvero Conte?

di Luciano Caveri

Questo mese di agosto e l'imminente dibattito parlamentare sul Governo "Conte 2" ("la vendetta") - che il leader del Partito Democratico (sic!) Nicola Zingaretti ha chiamato «2.0», facendo impallidire gli informatici - resterà negli annali della politica italiana. Una sorta di unicum nella pur immaginifica storia della Repubblica, che viene commentato con divertimento da editorialisti dei giornali esteri e viene ascritta alla fantasia italica e concorre all'ennesima rappresentazione dell'Italia come di un Paese da non prendere sul serio. Fu Benito Mussolini nel 1935 ad azzardare, mentre le Nazioni Unite condannavano l'Italia per l'aggressione all'Abissinia, una definizione che così suonò: «Popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori».

Dovendo scegliere nel mazzo in questa occasione mi sembra adatto "navigatori", perché c'è chi per restare a galla è pronto a tutto, anche se sarebbe stato meglio "navigato" per l'evidente furbizia. Ma calza anche a pennello "trasmigratori", perché ci sono interi gruppi politici che si sono spostati da una posizione all'altra come fanno gli uccelli nel cambio di stagione e sono sfortunati perché la memoria dei "social" dimostra la valanga di improperi che questi nuovi alleati si sono vomitati addosso sino all'altro giorno e sono la testimonianza che questa "pax romana" è un travestimento carnevalesco. In un attimo di serietà, perché la faccenda resta delicata per le sue ripercussioni future, ritengo che l'abbraccio governativo fra "pentastellati" e democratici per entrambi sarà, elettoralmente si intende, un abbraccio mortale. La storia della diga contro Matteo Salvini, come nobile ragione di questa bizzarra intesa, regge davvero fino ad un certo punto e il fatto che in Valle d'Aosta la prima ad esaltare il gesto sia stata "Rete Civica", che ha salvato il Governo Fosson dalle elezioni, dimostra la debolezza della motivazione. Non evocherò la "poltronite" romana (quella valdostana è macroscopica), perché questa storia delle poltrone ha stufato, ma certo il vero collante, oltre allo spauracchio della vittoria leghista che non è stata sterilizzata ma rischia di gonfiare i risultati con questa avventura giallo-rossa, è - nella realtà - la paura dei più di non riconquistare un seggio. E dunque i più tremebondi sono quelli che interpretano con maggior convinzione la parte dei convinti e fra questi nel PD spicca il ritornato leader Matteo Renzi, che penso finirà il lavoro di distruzione del Partito, magari facendo nascere il famoso movimento a lui intestato. Onore a Carlo Calenda, unico hombre vertical che ha svelato la verità andandosene e difendendo il partito dei coerenti. Essere coerenti con le proprie idee è molto doloroso, ma bisogna farlo a costo di passare per uno che se ne va per chissà quali motivi reconditi, quando invece si tratta solo di potersi guardare allo specchio senza sputarsi in faccia. Certo Salvini - perché non bisogna fare sconti - è stato del tutto infelice con la storia dei «pieni poteri», che evocava cupe pagine delle dittature del passato, pensando di poter portare tutti al voto, dopo avere retto per troppi mesi le mattane di Luigi Di Maio, Davide Casaleggio, Beppe Grillo e compagni. Ma avventurarsi in una crisi ferragostana, condita da un eccesso di presenza sui "social" al di là dei temi politici spesso temerari, è stata un'operazione che gli si è rivoltata contro. Il tempo dirà se si è trattato di una scelta vincente, ma sul breve di certo non lo è stata. Ma il peggio del peggio è la valorizzazione di quella specie di "tronista" (come look azzimato da concierge) che è Giuseppe ("Giuseppi" per il suo imbarazzante amico Donald Trump) Conte, uomo nato dal suo nulla politico dall'accordo fra Lega e "Cinque Stelle" e mai votato neppure in un'Assemblea di condominio. Un premier che ha fatto da comparsa con i suoi "vice" sempre protagonisti e che ha trovato - solo per accreditarsi per il "dopo" ed all'ultimo secondo - il coraggio di parlare franco (forse…) dopo mesi e mesi di rospi ingoiati. Lo ha fatto nell'ultimo intervento al Senato, quando gli si è accesa la lampadina di poter diventare un leader "pentastellato" con libertà di azione, rispetto ai guinzaglietti con cui ha girato sin dall'inizio del suo Governo. Io su di un aereo pilotato da Conte non salirei neanche morto (o forse da morto sì, sapendo che sarebbe un modo per finire cremato nello schianto). Molte storie sul suo conto non tornano ed a me basta e avanza chi scambia "sovranismo" per "sovranità" ed inciampa troppo spesso nell'italiano orale, figlio qual è di un democristianismo da Padre Pio. Quanto di peggio esiste, quando poi rivendica lo Stato laico contro Salvini ed il suo uso - che io stesso ritengo sbagliato - del rosario ed affini, da cui però Conte stesso non è affatto immune. Ricordo quando, a "Porta a Porta", ad un Bruno Vespa sornione ha mostrato proprio il santino di San Pio che tiene nel portafoglio e non credo che questa forma di religiosità popolare vada ascritta fra le doti di uno statista. Potrei continuare in modo dettagliato su sue uscite varie e sulla mancanza di spessore politico e temo culturale (che accende una luce su come si diventi in Italia professore universitario come elemento di vantaggio nella propria professione), ma sarebbe tempo perso, perché la consapevolezza dei suoi limiti è stata la forza per essere scelto prima ed anche ora e con queste "doti" ha accoltellato Salvini e di fatto lo sta facendo anche con Di Maio. Ma credo che - pur aiutato dal Caso - resterà una zavorra, che svela una volta per tutte come il nuovismo dei "Cinque Stelle" fosse una "fake news" e come il Partito Democratico sia come una muta di cani da slitta sempre litigiosa, che riparte decisa solo quando sente odore di Governo, scordandosi il passato con sconcertante facilità.