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31 lug 2019

La reputazione di un Paese

di Luciano Caveri

La reputazione di un Paese non è una questione di poco conto. L'ho verificato in Turchia, parlando con due guide turistiche (una in lingua italiana, l'altra in lingua francese), che mi hanno raccontato - ma la conferma l'ho avuta con altri turchi incontrati durante il recente viaggio - di come le molte vicende derivanti dal regime di Recep Tayyip Erdoğan stiano allontanando una larga parte di turisti europei per ragioni concomitanti. La reputazione, cioè l'opinione generale che si crea, non è mai da sottovalutare: nel caso turco c'è il nazionalismo in chiave anti-europea ed ormai anti-atlantica che si mischia al conservatorismo religioso e a logiche liberticide verso la stampa libera e l'indipendenza di magistratura e burocrazia. Le confuse vicende della guerra in Siria (con milioni di siriani arrivati in Turchia con seri problemi di xenofobia) e la partita giocata sui migranti, per non dire dell'annosa questione curda e della pervicace negazione della tragedia armena, hanno creato un mix di incertezze che ha significato sempre più un isolamento della Turchia, che ricade poi sulla scelta delle persone - per paura, per convinzione, per antipatia - di non volere più la Turchia come meta per i propri viaggi. Sulla costa mediterranea, ormai meta dei russi, gli europei diminuiscono in picchiata ed emerge un nuovo turismo cinese, assai diverso da quello occidentale.

Erdogan si vede come un califfo che può aggregare il complesso mondo islamico, facendo una scelta asiatica e non europea per il suo Paese, e - con un forte indebitamento - ha avuto un'economia crescente per molti anni ed ora invece fa i conti con una crisi finanziaria ed anche politica. Nelle vicende in cui ha messo in discussione l'elezione a sindaco di Istanbul di un suo oppositore, con nuove elezioni che il "rais" ha perso seccamente, si evidenzia come quando si esagera una reazione popolare a difesa di certi principi democratici esiste, specie in un Paese di fresca democrazia dopo le feroci dittature militari. Condivido cosa ha scritto Sabino Cassese sul "Corriere della Sera" di ieri, facendo un parallelo, con tutti i grandi distinguo del caso, con questa logica importante della reputazione. Scrive Cassese: «Ci stiamo isolando politicamente e allontanando economicamente dall'Europa. La Lega, il partito con maggiori suffragi in Italia alle elezioni europee, si è messa in un vicolo cieco votando contro i candidati alla presidenza del Parlamento e della Commissione europea, e spiegando che in questo modo ha "difeso l'interesse nazionale", mentre l'altra forza di governo, il M5S, ha appoggiato la presidente della Commissione, ma si è opposta al presidente del Parlamento e in quest'ultima sede non riesce neppure a trovare alleati, tanto che non è entrata a far parte di nessun gruppo parlamentare. Si aggiunga che è stato eletto presidente del Parlamento un rappresentante del Partito democratico, rimasto in minoranza alle elezioni in Italia. L'Italia, insomma, è andata in Europa in ordine sparso. Non contribuiscono a far ascoltare all'estero l'interesse nazionale l'atteggiamento di sfida della Lega e le plurime assenze del ministro dell'Interno (l'ultima, definita "ingiustificata" dal presidente francese, il 22 luglio scorso, alla riunione a Parigi dei 14 Paesi europei sui migranti, un tema che dovrebbe starci a cuore). Si apre ora un ulteriore capitolo: all'Italia spetta un posto di commissario. Questo deve esser scelto dal Consiglio, d'intesa con il presidente della Commissione, e passare al vaglio del Parlamento europeo che ha già bocciato un italiano nel 2004». La sfida è interessante, perché l'isolamento - con elementi di ricerca di nemici, di cattivi da cui guardarsi, di avversari occulti - può stuzzicare il senso di appartenenza e fare gioco, ma poi? Ancora Cassese: «Il nostro governo chiede a gran voce un posto importante. Ma ha davanti a sé tre difficoltà. Deve indicare una persona competente, con esperienza, che sappia comunicare e ascoltare: sarà difficile per due forze politiche improvvisate. Deve designare un candidato che sia in sintonia con i principi ispiratori dell'Unione: sarà arduo per l'orientamento statalista del governo italiano (basti pensare alla vicenda della proroga delle concessioni marittime e lacuali). Infine, deve scegliere una persona che sappia contemporaneamente rappresentare l'Italia e agire nell'interesse dell'Unione. Come ha scritto Riccardo Perissich su "Affarinternazionali", sarà difficile a forze stataliste, che non hanno ratificato l'accordo commerciale "Ceta" con il Canada e che manifestano simpatie per Putin, poter accedere a posti di commissario "pesanti", come quelli della concorrenza e del commercio, che richiedono di controllare gli aiuti di Stato e di promuovere gli scambi. Ma non ci stiamo solo isolando politicamente dall'Europa, ci stiamo anche allontanando da essa economicamente. All'interno dell'eurozona, siamo all'ultimo posto. Siamo fermi da un quarto di secolo, mentre gli altri corrono. Il dualismo storico italiano, il divario Nord-Sud si accentua. Più della metà del commercio mondiale di beni e servizi fa riferimento a transazioni lungo le catene globali del valore, le filiere produttive che hanno preso il posto della fabbrica dove si produce tutto (come "Ford", che produceva nel suo stabilimento anche gli pneumatici delle auto). Ora l'Istat avverte che le imprese italiane tendono a partecipare alle catene come imprese subfornitrici di beni intermedi o semilavorati, collocandosi negli stadi produttivi a minor valore aggiunto e quindi a più bassa produttività. Inoltre, se bisogna cantare nel coro, occorre esser in sintonia con altri Paesi, cosa difficile per imprese italiane, con le carenze infrastrutturali, l'assenza di tecnici, la lacunosa cultura digitale, il neocolbertismo dell'attuale governo». Bisogna dunque riflettere sull'ammonimento finale: «Insomma, l'Italia, Paese fondatore dell'Unione, quarta nazione per dimensioni, non sa far sentire la propria voce nel coro europeo e non riesce a progredire alla velocità delle altre economie. Questo stato dei rapporti con l'Unione presenta un ultimo paradosso. La divaricazione, per cui le due forze politiche che hanno perduto le elezioni europee in Italia sono riuscite a far sentire la propria voce nell'Unione, a differenza del vincitore, prova che i sovranisti sono necessariamente contraddittori. Il grande sostenitore dell'interesse nazionale ha contribuito a disintegrarlo. Se Salvini teneva tanto ad esso, avrebbe dovuto far fronte comune con l'alleato di governo. I due partiti di governo, presentandosi disuniti, hanno contraddetto l'unità dell'interesse nazionale di cui si riempiono la bocca ogni giorno. Che l'unico italiano eletto per ora ai vertici dell'Unione sia del Partito democratico, all'opposizione in Italia, è prova che bisogna abituarsi, integrandosi, a formare maggioranze diverse e che l'interesse europeo può essere anche interesse nazionale». Non so bene dove guardi Cassese, certo è che la debolezza mista a troppe inimicizie rischia di avere effetti molto gravi e l'anti-europeismo - se non significa riformismo ma rissa continua - può rivelarsi un terribile boomerang.