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02 mag 2019

Resistenza e Liberazione: punti fermi

di Luciano Caveri

Emil Cioran ha scritto: «La storia, a voler essere esatti, non si ripete, ma, poiché le illusioni di cui l'uomo è capace sono limitate di numero, esse ritornano sempre sotto un diverso travestimento, dando così a una porcheria ultra-decrepita un'aria di novità e una vernice tragica». Per me questo è il 25 aprile, giorno della Liberazione. Non entro neanche più nelle logiche amico-nemico che avvelenano sempre più le dispute sulla Resistenza in una forbice fra revisionismo storico - sempre giusto a condizione che siano studiosi seri a sciogliere dubbi e non a giocare coi fatti - e l'orrore senza appello del negazionismo, che comincia con l'Olocausto per contaminare e sporcare tutto sempre in una logica di riscrittura per riabilitazioni impossibili.

Eppure ormai certi veleni ci sono in circolo: da «quello che di buono ha fatto il fascismo» a «è stata una guerra civile», da «partigiani e repubblichini sono morti uguali» a «se Mussolini non avesse fatto la guerra». Per non dire dell'antisemitismo risorgente ed è ovvia conseguenza di neofascismo e neonazismo in buona salute e certe nostalgie spaventano non solo perché intrise di un passato ignobile ma perché all'operazione del mascheramento del passato si somma la voglia di riproporre nel presente nuove forme di dittatura intrise di violenza. Certo - con buona pace dei cretini in camicia nera ed altri orpelli, compreso il "fascismo sociale" come bandiera - le vesti saranno nuove, ma metodi e pensieri nel solco di quanto già visto con le conseguenze che solo buchi di memoria possono negare nella vastità di tragedie documentate. Per questo oggi bisogna parlarne e non accettare strumentalizzazioni e silenzi e mai accettare la logica che vuole essere assolutoria di chi dice che il passato è passato, quando si sa bene che è nel vuoto della cultura e della coscienza che riappaiono certi fantasmi, purtroppo in carne ed osa. Certo che il passato non torna uguale, ma resta ridicolo e tragico chi appunto usa idee e simboli già giudicati e sconfitti. Per cui rievocare ideologie e mostri è solo sintomo di pericolosa ignoranza e di voler tornare indietro, spesso nel benaltrismo di chi dice «già, ma il comunismo...», quando - parlo per me - chi crede nel federalismo odia senza distinzioni ogni logica totalitaria sotto qualunque veste. Non sempre la Storia è progresso e so bene che i peggiori nemici della verità sono il reducismo e la retorica. Anche la Resistenza oggi ha dei cantori stonati, quando anch'essi si rifanno al passato per battaglie violente, come fanno i centri sociali. Sbaglia chi posiziona solo a Sinistra un mondo partigiano che ebbe diverse anime e questa fu la forza del movimento di Liberazione con l'apporto decisivo degli Alleati. E' nel torto chi nega che dopo l'adesione al fascismo c'è chi - e furono tanti - celebrò il 25 aprile, quel giorno e successivamente, solo per schierarsi con i vincitori con lo stesso conformismo. Il "vento del Nord" e la sua modellistica di cambiamento si fermò a Roma, come sanno i valdostani che si trovarono un'Autonomia ridotta rispetto alle promesse e alle speranze. Scriveva speranzoso Piero Calamandrei: «Quel miracoloso soprassalto dello spirito che si è prodotto, quando ogni speranza pareva perduta, in tutti i popoli europei agonizzanti sotto il giogo della tirannia interna ed esterna, ha ormai ed avrà nella storia del mondo un nome: "resistenza". Sotto la morsa del dolore o sotto lo scudiscio della vergogna, gli immemori, gli indifferenti, i rassegnati hanno ritrovata dentro di sé, insospettata, una lucida chiaroveggenza: si sono accorti della coscienza, si sono ricordati della libertà. Prima che schifo della fazione interna, prima che insurrezione armata contro lo straniero, questo improvviso sussulto morale è stato la ribellione di ciascuno contro la propria cieca e dissennata assenza: sete di verità e di presenza, ritorno alla ragione, all'intelligenza, al senso di responsabilità. La resistenza è stata, nei migliori, riacquisto della fede nell'uomo e in quei valori razionali e morali coi quali l'uomo si è reso capace, nei millenni, di dominare la stolta crudeltà della belva che sta in agguato dentro di lui. Si è scoperto così che il fascismo non era un flagello piombato dal cielo sulla moltitudine innocente, ma una tabe spirituale lungamente maturata nell'interno di tutta una società, diventata incapace, come un organismo esausto che non riesce più a reagire contro la virulenza dell'infezione, di indignarsi e di insorgere contro la bestiale follia dei pochi. Questo generale abbassamento dei valori spirituali da cui son nate in quest'ultimo ventennio tutte le sciagure d'Europa, merita di avere anch'esso il suo nome clinico, che lo isoli e lo collochi nella storia, come il necessario opposto dialettico della resistenza: "Desistenza". Di questa malattia profonda di cui tutti siamo stati infetti, il fascismo non è stato che un sintomo acuto: e la Resistenza è stata la crisi benefica che ci ha guariti, col ferro e col fuoco, da questo universale deperimento dello spirito». Oggi Calamandrei guarderebbe con preoccupazioni a certi rigurgiti.