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23 apr 2019

Il civismo nel portafoglio

di Luciano Caveri

Ci sono elementi quotidiani che ti fanno ragionare dal piccolo al grande. Ed è un esercizio utile quello di rifarsi anche al più minuto degli avvenimenti per chi voglia guardarsi attorno con interesse, sapendo come nella nostra umanità i comportamenti talvolta prescindono dalla proporzione cui si applicano. Ecco a voi, dunque, un episodio piccolo e personale ma significativo di questo osservare il mondo. Ho smarrito stupidamente il mio portafoglio, scivolatomi da una tasca della giacca mentre attraversavo la strada, ed è rimasto a giacere sull'asfalto fra automobilisti indifferenti. Me lo ha raccontato chi lo ha visto: Lorenza ha accostato la sua auto ed è scesa a prenderlo, contattandomi in seguito con il lieto fine della riconsegna e della mia gratitudine.

Mi veniva da riflettere su come, anche se molte cose utili siano ormai state trasferite in chiave digitale sui nostri telefonini, il portafoglio per il momento tiene duro, anche se sistemi d'identificazione, di pagamento e tessere varie piano piano si stanno smaterializzando e questo oggetto che ci portiamo dietro dal XII secolo finirà anche lui nel cimitero delle cose in disuso come molte altre cui eravamo affezionati. Piccola storia questa di questo gesto cortese, certo, che mi ha evitato le tante "rotture" conseguenti alla perdita del portafoglio e dimostrato come, senza clamore e in un mondo dominato dalle cattive notizie, c'è chi ogni giorno testimonia in modo semplice dell'esistenza della propria onestà e disponibilità verso il prossimo. Con Lao Tzu: «Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce». Resta inteso che con il portafoglio non vado fortissimo. Una prima volta l'ho perso al centro di Aosta e, dopo essere diventato matto, telefono ad una delle società delle mie carte di credito e una voce melliflua mi precisa che erano appena stati fatti due acquisti: due telefonini nuovi di zecca in centro specializzato, che dimostrò leggerezza nell'accettare i pagamenti. Non sto a raccontare troppo i particolari, ma chi lo aveva trovato aveva pensato di fare shopping a mie spese. Seguendo la traccia telefonica, finirono a processo due giovani ed io mai ritrovai il contenuto del mio portafoglio, gettato chissà dove. La seconda volta a Parigi, quasi sicuramente un furto con destrezza (veloce lui, stupido io). La perdita dei documenti d'identità, sapendo che dovevo rientrare in aereo, innescò una straordinaria sarabanda di batti e ribatti con il Consolato italiano. Non sto a segnalare la complicazione delle cose, infine risolta - con paura però sino alla fine di non poter essere imbarcato - da una denuncia di furto presso un Commissariato francese. Rientrato in Italia e compilata una denuncia on line, venni poi - dovendola rendere cartacea - dissuaso dal presentarla per la sua totale inutilità. Ecco perché il beau geste del rinvenimento e dell'allerta in questa occasione mi ha fatto particolare piacere. Viviamo in un mondo in cui il civismo diventa un fatto raro. "Civismo" è un francesismo settecentesco, che viene dal latino "cīvĭcus, del cittadino", derivazione di "cīvis -is, cittadino". L'Etimologico ci aiuta a capire il senso profondo delle radici della parola: «è formato sulla radice indoeuropea "*kei-, giacere, risiedere", che ricorre nel greco "keîmai", nel sanscrito "śete, nell'ittita "kitta, giacere" e nel derivato lituano "šeimà, famiglia"». Musica per le orecchie di chi crede nel federalismo e trova che ogni scelta riporta alla fine al cuore del problema: un cittadino al centro di tutto, come base di partenza di ogni costruzione umana. Ma il cittadino deve avere chiarezza non solo del quadro istituzionale e politico ma dev'essere un cittadino consapevole e partecipe. Questo parte dai rapporti più banali, che siano quelli di vicinato, a quelli di lavoro o di svago, in cui si esprime quella socialità che poi si sostanzia nei diversi livelli di governo democratico e nel vasto mondo delle forme di associazionismo che legano le comunità. Ma senza una base personale sana e consapevole ogni volta che si sale con dei piani più in alto si rischia il crollo proprio per la mancanza di fondamenta robuste.