Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
15 nov 2018

Evviva i Bogianen, torinesi alla riscossa!

di Luciano Caveri

Non avessi avuto da fare (visita ad Aosta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un "mordi e fuggi"), sarei andato a Torino nella storica piazza Castello - che mi evoca tanti ricordi - alla manifestazione di protesta che direi troppo restrittivamente è stata chiamata #sìTav e cioè contro la scelta del Comune di Torino, su spinta del "pentastellati", di dire di "no" alla nuova direttrice ferroviaria "Torino - Lione". In realtà la protesta ha uno spessore ben diverso e riguarda una denuncia da parte di un popolo sinora narcotizzato contro certe logiche trinariciute, anti-moderniste, surreali e grottesche dei "Cinque Stelle", interpretate in maniera mirabile dalle due sindache, Chiara Appendino e Virginia Raggi.

Quest'ultima - che pure ieri è stata assolta per una vicenda giudiziaria ben nota - era già da tempo ai minimi storici e proprio ieri (ammettendo di averla votata!) Ernesto Galli della Loggia l'ha così liquidata: «Giovane piccolo-borghese romana dall'abbigliamento e dalle maniere che "fanno tanto perbene" nel quartiere Appio Latino dove è cresciuta, è centaura provetta e con l'aria sempre annoiata e il tratto vagamente indolente che ricorda la protagonista di un racconto di Moravia; alla vigilia delle elezioni le chiedono il titolo dell'ultimo libro che ha letto e lei risponde "non mi ricordo". Di rapidi studi, e colta nel modo che si è capito, quello che sa dovrebbe impararlo frequentando come ragazza di bottega gli studi disseminati nel quartiere Prati intorno al Palazzo di giustizia, dove avvocati inappuntabili, frequentatori dei circoli lungo il Tevere, rappresentano gli interessi dei palazzinari, del generone, del ceto burocratico-faccendiere della Capitale, gestendone gli affari e gli affarucci con un occhio alla politica e l'altro pure. Ma Virginia Raggi non sembra aver appreso molto da questo che pure a suo modo è un serbatoio di saperi. Una volta eletta, infatti, mostra innanzitutto di non essere assolutamente capace di scegliere i suoi collaboratori. Cambia assessori vorticosamente, appare incerta e insieme autoritaria, si circonda di personaggi più che dubbi che promettono di saper gestire il personale galeotto del Comune ma in realtà gestiscono soprattutto le loro carriere e le loro prebende, finendo per questo anche nel mirino della magistratura. La sindaca "Cinque Stelle" non riesce a costruire un'agenda d'impegni significativa per la città, sembra muoversi sempre a tentoni, non ha visione, non ha polso, non sa prendere alcuna decisione tempestiva e importante per arrestare lo sfacelo che la circonda. E' evidente che non ha la minima idea di che cosa sia la politica. Banalissima nel lessico, algida nel tono sempre improntato a un che di malmostoso e di infastidito, non sa mai suscitare un'emozione, trovare una parola convincente di rammarico o di scuse per i mille guai che quasi sempre per colpa della sua amministrazione capitano alla città e ai suoi abitanti». Mentre la torinesissima Chiara Appendino, espressione della buona bourgeoisie torinese diventata "grillina" con il brivido del giacobinismo forcaiolo, pur avendo una serie di vizi analoghi alla collega capitolina come l'incapacità di avere un entourage credibile, era riuscita ad allungare il periodo di luna di miele con l'opinione pubblica, ma ora 40-45mila torinesi in una giornata autunnale le hanno dato lo sfratto. E' probabile che resisterà con caparbia e legnosa resistenza, ma non andrà molto lontano. Personalmente credo che ci siano ottime ragioni, perché le due signore rappresentano il fallimento di una classe politica nuovista, che ha dimostrato di non saperci fare. Bravissimi a fare roghi da inquisizione, liste di proscrizione per chiunque abbia fatto politica prima, si dimostrano poi incapaci e indecisi, persino nocivi per la loro sicumera. Lo dico - colgo l'occasione - con l'orgoglio di chi si è stufato dei bollini del genere "vecchia politica" appiccicati come un simbolo di vergogna di epoca nazista in maniera indiscriminata per chiunque abbia ricoperto, come me, incarichi politici elettivi, considerato come un lebbroso da evitare e da insultare. Nessun distinguo viene fatto per chi ha lavorato onestamente e con impegno: nella pira devono essere bruciati tutti con furia cieca e violenza verbale senza eguali. Ora arriva il redde rationem e da cacciatori si ritrovano preda di un'ampia opinione pubblica che era cascata e magari cascherà ancora in parte nella trappola della demagogia e del populismo, e lo dico senza voler fare di ogni erba un fascio, perché sono rispettoso di chi interpreta certe idee che non condivido con toni civili e ragionamenti seri. Ma, per contro, mi sono stufato di sentirmi lezioncine morali, reprimende a getto continuo, inviti a chissà quale pentimento e confessione di reati per la semplice ragione di essere stato democraticamente eletto in passato. Fare politica è una cosa seria e chi lo ha fatto con questo spirito conosce ed ha denunciato storture e malefatte, ma con la stessa forza bisogna oggi denunciare - come è stato fatto a Torino - il vuoto pneumatico di idee, il settarismo fatto di battute e di decisioni prese da vertici oscuri, la mancanza di dialogo con gli altri "tutti nemici", la tentazione autoritaria con uso del Web e delle tecnologie digitali che George Orwell aveva preconizzato come caposaldo di idee totalitarie. Basta davvero e faccio notare che nella manifesta torinese è uscito fuori il vero significato di "Bogianen", "bogia nen" (in italiano "non ti muovere"), soprannome dato ai piemontesi e che viene usato in termini negativi per segnalare passività e eccessiva prudenza, quando invece nacque nel Settecento per segnalare, in occasione della battaglia dell'Assietta, il temperamento caparbio, capace di affrontare le difficoltà con fermezza e coraggio da parte dei nostri vicini subalpini. Chiesto di arretrare per l'attacco dei francesi, il Comandante del Primo Reggimento Guardie, Tenente Colonnello Paolo Novarina, Conte di San Sebastiano, che conduceva le operazioni sull'Assietta sbottò: «Noiàutri da sì i bogioma nen» («Noi non ci muoviamo da qui»). Quando i cittadini "dormienti" si svegliano e scendono in piazza può esserci una svolta.