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05 set 2018

La difficoltà di capire il presente

di Luciano Caveri

Il mondo va avanti, anzi indietro, ed il fatto certo è che ogni cittadino consapevole deve stare con le antenne dritte, specie quando l'impressione è che si stiano prendendo strade la cui meta appare indeterminata. Oggi la distrazione massima, per chi dovrebbe interessarsi della cosa pubblica in quanto "sua", sta nel rischio di introflessione, di chiudersi nel proprio privato, come se questo fosse un riparo grazie al quale sfuggire alle circostanze e alle responsabilità. Ci penso ogni tanto, nella prossimità, ad una Valle d'Aosta dove negli anni si sono create situazioni che inquietano per la tenuta dell'Autonomia e avvenimenti che allontano. Mi riferisco, nella dimensione più vasta, a quell'Europa che oggi è oggetto di disprezzo ed il ritorno dei nazionalismi preoccupa.

Se l'Unione europea è da cambiare in profondità, lo scopo è quello di buttare l'acqua sporca, non il bambino, pensando che i conflitti che hanno insanguinato il vecchio Continente non sono spariti per sempre e possono tornare. In Italia il salvagente della Costituzione vigente, pur vecchia ma sempre valida perché nata per affermare valori di libertà dopo una dittatura, può non servire come elemento di tutela e di equilibrio. Ha scritto in modo intelligente il costituzionalista Michele Ainis: «La Costituzione non è che un pezzo di carta, diceva Calamandrei: la lascio cadere e non si muove. Per animarla serve un popolo, serve una passione. E non basta il cuore dei nostri progenitori, per mantenerla viva. I diritti (e i doveri) costituzionali appassiscono, se non vengono irrorati. Sicché ogni generazione deve impadronirsene di nuovo, deve farli propri. Altrimenti ne rimarrà soltanto una riga d'inchiostro, senza linfa, senza rapporto con il nostro vissuto quotidiano». Nel mondo ormai inquinato dei "social" tutti sono uguali, competenti e incompetenti, e questi ultimi spadroneggiano rovinando tutto il rovinabile nei toni e nei contenuti. Come una enorme quantità di guano che si deposita su tutto e distrugge più che costruire. Scrisse mio zio Séverin Caveri sul ruolo delle persone accorte e si potrebbe usare anche il termine difficile di "intellettuali": «Ma ora usciamo dalle biblioteche che sanno di muffa. Usciamo al sole. Posiamo i piedi sulla terra e guardiamo bene a terra, per evitare che, guardando le nebulose, si cada nel pozzo». Dimostrò in molti passaggi come questo appello avesse un senso: essere depositario di un bagaglio di idee e di convinzioni ed applicarlo con il pragmatismo necessario negli anni cruciali del dopoguerra per dare basi giuridiche all'Autonomia e migliorare le condizioni di vita dei valdostani, sempre in un quadro di approfondimento culturale e non di politica di breve cabotaggio. Lo dimostra quella scelta del Federalismo come chiave di volta su cui costruire l'identità futura e su questo è chiaro e questo suo messaggio è di un'inquietante d'attualità: «La conception nazionaliste porte fatalement à l'imperialisme et se compose de deux sentiments parallèles: la surestimation de la patrie et la dépréciation des autres patries. Cette distinction établie, nous affirmons que la divinité de l'Etat-Nation doit descendre dans le limbe des dieux feroce de la tribu». La logica era contrastare l'idea di una Valle d'Aosta che diventasse vittima di un nazionalismo "lillipuziano", al posto di un sano patriottismo nel quadrato di una visione europeista solida e senza dubbi: «Les intellectuels peuvent donc et doivent être le ciment de l'union des peuples de l'Europe: il doivent nourrir les consciences, il doivent répandre l'idée nouvelle de la Patrie européenne». Dimostrazione che non bisogna solo guardare al proprio orticello, come faceva lui stesso, denunciando i rischi ancora presenti di una concezione sbagliata dell'Amministrazione pubblica come elemento buono per gli "amici", mentre deve essere un elemento equidistante e dimostrarsi rispettosa di ogni cittadino. Diceva ancora Séverin - uomo retto e onesto e anche questo conta! - che «La politique des principes est la meilleure des politiques». Per qualcuno potrà essere una visione anacronistica in un mondo in cui la politica si basa spesso su di un movimentismo immemore e spregiudicato. Personalmente preferisco essere anacronistico per risultare almeno degno di un'eredità politica. Aggiungeva Ainis: «Nessuna società umana sarà mai davvero giusta, davvero libera ed eguale. E' impossibile, perché la vita stessa propone ogni minuto nuove costrizioni, nuove disuguaglianze cui occorre rimediare. Perciò la nostra condizione riecheggia la fatica di Sisifo, ciascuno con un masso sulle spalle, che rotola giù quando l'hai portato in cima. E allora devi cominciare daccapo la salita. Conta lo sforzo, insomma, non il risultato. Conta la tensione verso i valori indicati dalla Carta costituzionale. E a sua volta quest'ultima è come l'orizzonte che ci sovrasta: nessuno può toccarlo con le dita, però nessuno può fare a meno di guardarlo. A meno che non si proceda con gli occhi bassi sul selciato, sugli egoismi individuali e collettivi, sulle piccole miserie esistenziali. E' esattamente questo il tradimento costituzionale di cui siamo responsabili - di più o di meno, tuttavia non c'è uomo né partito che sia del tutto innocente. Giacché la colpa principale consiste nell'oblio, nel velo d'ignoranza o di dimenticanza da cui in Italia è circondato il nostro testo fondativo. Che a sua volta suona un po' come un memento: delle storture da correggere, delle priorità su cui convogliare le energie». Già, l'ignoranza e la manipolazione delle masse, che è storia antica, da cui nessuno è immune. C'è un pensiero, feroce nella sua nettezza, scritto da Cesare Pavese nel 1946: «Fessi gli etnologi che credono basti accostare le masse alle varie culture del passato - e del presente - per avvezzarle a capire e tollerare e uscire dal razzismo, dal nazionalismo, dall'intolleranza. Le passioni collettive sono mosse da esigenze d'interessi che si travestono di miti razziali e nazionali. E gli interessi non si cancellano».