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30 ago 2018

Claudio, quand la mort...

di Luciano Caveri

«La mort tombe dans la vie comme une pierre dans un étang: d'abord, éclaboussures, affolements dans les buissons, battements d'ailes et fuites en tout sens. Ensuite, grands cercles sur l'eau, de plus en plus larges. Enfin le calme à nouveau, mais pas du tout le même silence qu'auparavant, un silence, comment dire: assourdissant». Christian Bobin

Ricordo quel 26 agosto 2017 e - confesso - che ancora oggi quanto è successo mi pare impossibile che sia avvenuto. Non ho elaborato il lutto, nel senso che considero la sua morte un avvenimento ingiusto, specie per la sua famiglia e per l'intera comunità valdostana che avrebbe potuto avere in lui un punto di riferimento in questo periodo così difficile e con cambiamenti di cui ancora non conosciamo l'esatta portata.

E, invece, la tragica scomparsa di Claudio Brédy divenne in quel declinare dell'estate una realtà, dopo molte ore concitate in cui tutti sperammo che fosse solo infortunato da qualche parte sulle montagne di Cogne che amava e conosceva, e che fosse lì in attesa dei soccorsi. Poi la brutalità dei fatti con il ritrovamento, in fondo ad un salto di roccia, che aveva affrontato per quella sua sicurezza negli sport più rischiosi che gli è stata fatale, spezzò ogni speranza. Ritenendolo troppo giovane per morire così, io - che pure ho visto la sua bara e c'ero all'ultimo addio con tanti amici e persone che lo apprezzavano e gli volevano bene - mi figuro che non sia davvero morto con un atteggiamento infantile, che purtroppo non serve a nulla. Ma questa è la forza del ricordo per qualcuno che resta nella memoria e nei nostri cuori e senza il quale si avverte, in certe occasioni, un senso di vuoto. Ogni tanto mi viene in mente con quel suo sorriso buono, che talvolta quando si arrabbiava si trasformava in una smorfia di arrabbiatura che gli arrossava le gote. Quante volte - in passaggi difficili e scelte importanti - noi di MOUV' ci siamo sentiti sperduti senza la sua proverbiale capacità di ragionamento. Per cui lo evochiamo non per un esercizio di stile, come un obbligo protocollare sul calendario, ma perché più il tempo passa e più ci accorgiamo - per noi e per l'intera comunità valdostana - di quanto manchi il suo esprit de finesse per affrontare temi concreti ed approfondimenti ideali, prevedendo entrambi - in un'epoca di ignoranza e grettezza anche in politica - una cultura enciclopedica come la sua, accompagnata da un pragmatismo che gli consentiva di mettere a nudo di ogni problema i nodi da sciogliere. Dolore e rimpianto restano indelebili, così come la speranza che - anche nel suo nome - l'area autonomista o meglio federalista, in cui Claudio si riconosceva, ritrovi quegli elementi fatti di valori e quella capacità di una politica onesta e fattiva che lui predicava con semplicità e spesso con la sofferenza di fronte a troppi valdostani rapiti da leadership che distruggevano la nostra immagine. Compito non facile e spesso ci trema la mano ogni volta che si pensa agli orizzonti futuri con un cielo cupo che non promette nulla di buono anche per i più ottimisti. Claudio sapeva essere un valdostano dallo spirito avventuroso e cosmopolita, però non mai rinchiuso in gabbie o confini. Era il suo un senso identitario forte e pronto al confronto, come ci insegna il federalismo personalista in cui si riconosceva, ben diverso da logiche divisive se non violente che albergano come un veleno in seno alla nostra comunità e che ferirono anche Claudio nel suo impegno politico proprio per la sua onestà. Insomma: uomo libero e cittadino del mondo con radici valdostane solide e amate. Un esempio per tutti e dirlo a titolo postumo riempie di amarezza ad un anno da quel maledetto incidente.