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08 ago 2018

Le Alpi come i Parchi americani?

di Luciano Caveri

Nel mio periodico dialogare a distanza con il mio amico occitano, Mariano Allocco, torno sulla questione del lupo e francamente, alla fine, e per chiarezza questo predatore - di ritorno sulle Alpi per una volontà a metà fra scienza e politica - ha smesso di essere un animale, diventando semmai un simbolo. Quel che conta in questa storia sono gli aspetti di democrazia su chi debba effettuare scelte decisive sul proprio territorio e questo prescinde dal nodo emotivo se il lupo sia possibile o no abbatterlo in determinate situazioni. Il lupo è diventato per un'ampia parte del mondo ambientalista e per una più vasta opinione pubblica al traino il simbolo di una sorta di gioiosa ri-naturalizzazione delle Alpi, da cui l'uomo, le sue condizioni di vita e una montagna abitata spariscono. Viene così propagandata una visione degli animali da cartone animato in un sorta di habitat bello proprio perché non "sporcato" dalla presenza umana.

In questo ribaltamento all'eccesso di una visione antropocentrica, viene però sottostimato - per chi in montagna ci vive e lavora - l'aspetto problematico del ritorno di una specie a suo tempo estinta non per cattiveria, ma perché era chiaro che la convivenza con certe attività umane sarebbe stata difficili allora come lo è oggi. Con buona pace di chi santifica il lupo e maledice il montanaro, specie quando esprime dubbi su di un suo ritorno, privo in Italia di qualunque limite ragionevole alla sua espansione. Allocco scrive con riferimento ad un articolo apparso su di un giornale di Cuneo: «Torno a leggere di un confronto tra Alpi e "Yellowstone" sulla questione lupo e torno ancora sul tema per sottolineare l'impossibilità di un simile paragone». Aggiunge il mio amico montanaro: «Non basta chiedersi quali saranno "le ripercussioni ecologiche ed ambientali sull'ecosistema alpino", la domanda da porsi è un'altra: al centro delle politiche montane va posto l'ambiente oppure l'uomo che quell'ambiente vive? La "questione lupo" è il paradigma di un conflitto ormai evidente tra città e contado, questione non da poco e che interroga un'Europa che vuole darsi una strategia per la "Macroregione Alpina". Ma vediamo perché, secondo me paragonare le Alpi, zona storicamente tra le più antropizzate d'Europa, e "Yellowstone", parco in cui valgono le regole del "wilderness", non ha senso. Con "wilderness" si intende un ambiente naturale e selvaggio privo di tracce dell'uomo, termine ora di moda e sul quale vale la pena riflettere perché non è una questione banale per chi vive le Alpi. Cominciò a parlarne Aldo Leopold, ecologo statunitense della prima metà del '900 e prima di lui Henry David Thoreau, filosofo trascendentalista sempre statunitense della prima metà dell'800. Oltre che ad una nuova posizione dell'uomo nei confronti della natura e della società, il trascendentalismo affermava l'originalità della cultura americana nei confronti di quella europea. Comprensibile che questa scuola di pensiero si sia sviluppata negli Stati Uniti, dove nel giro di tre secoli era stato travolto e stravolto il precedente millenario rapporto tra uomo e natura. Negli Stati Uniti non c'è stato il millenario processo storico che in Europa ha portato alla gestione del territorio, in tempi rapidissimi l'Occidente si è imposto senza andare troppo per il sottile, né con i nativi, né con il territorio. La ricerca di un equilibrio accettabile, almeno sul piano del rapporto con la natura, ha portato nel 1964 alla firma da parte di Lyndon Johnson del "Wilderness act". Con "wilderness" si intende da allora "un ambiente naturale e selvaggio, in contrapposizione alle zone dove l'uomo e le sue opere dominano il paesaggio, riconosciuto come un'area in cui la terra e la sua di vita non sono ostacolate dall'uomo, dove l'uomo stesso è un visitatore, ma che non vi rimane", le aree "wilderness" così definite ora sono 757 e comprendono il cinque per cento del territorio degli Stati Uniti. Bella cifra. Negli Stati Uniti tutti accettano questa impostazione, ma la filosofia che sottende il "wilderness" non può essere accettata a cuor leggero in Europa. Diverso in Europa il contesto geografico, sociale, storico e le zone in cui "l'uomo è visitatore e non vi rimane" non so dove siano, ma la differenza maggiore sta nei più di tremila anni di storia che a loro mancano e questo, specialmente visto dalle Alpi, fa una bella differenza. Perché si parla allora di "wilderness" da noi? Sicuramente non per i motivi che hanno spinto gli Stati Uniti al "Wilderness act", ma principalmente perché avere a disposizione regioni selvagge senza traccia d'uomo sta diventando una necessità per la sopravvivenza delle masse urbane alienate, è un antidoto indispensabile contro la pressione insostenibile della vita moderna, un mezzo per mantenere un minimo di equilibrio e serenità. Dopo i disastri fatti dalla modernità nei confronti del mondo, in Occidente si sta affermando l'idea che l'uomo non faccia parte della natura, ma ne sia il nemico e che vada allontanato da essa. A me pare una patologia di massa, epidemia che sta contagiando sempre più persone e che va curata in qualche modo, però non la si cura limitando le libertà altrui. Il sospetto è che qualcuno voglia fare delle Alpi una zona "wildnerness" da usare come alibi e compensazione per i disastri fatti in pianura. Usiamo allora con prudenza la parola "wilderness" e mai guardando alle Alpi che storicamente sono una delle zone più antropizzate d'Europa. Su di esse si possono trovate tracce di quasi tutte le civiltà europee e su di esse noi montanari vogliamo poter continuare a vivere in libertà». Parole che sottoscrivo e lascia stupefatti il fatto che in questi anni a gestire il lupo e la sua diffusione siano stati troppo spesso i Parchi nazionali e regionali in zona alpina, che - tranne rare eccezioni, come il presidente-montanaro del Gran Paradiso, Italo Cerise - sono appannaggio di un ambientalismo militante vecchio e miope, che non ha considerazione di quella indispensabile presenza umana che non ha nulla da spartire con certi enormi spazi protetti degli Stati Uniti!