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03 gen 2018

Il sensazionalismo di certi Chef

di Luciano Caveri

Non ero mai stato nei ristoranti di Gualtiero Marchesi, ma - per curiosità verso il mondo della cucina - ho letto spesso di lui e la sua morte ha consentito un ripasso e la conferma di quanto sia stato un grande innovatore. Poi, come sempre capita in piccoli mondi, mi pare che abbia trionfato l'ipocrisia. Di recente il grande chef aveva sparato a zero sui suoi colleghi afflitti, a suo dire, da un eccesso di presenza televisiva e non era stato per nulla tenero con "Masterchef" come esempio preclaro di come - attraverso una gara con concorrenti amatoriali vigilati da big del settore - si desse, sempre a suo avviso, un'immagine falsata del mondo della ristorazione. Sottoscrivo sul fatto che ormai si scelgono, come concorrenti, solo personaggi bizzarri perché fa più audience delle loro capacità culinarie, e la maleducazione dei giudici è troppo spesso imbarazzante, basta seguire il civilissimo "Masterchef Australia" dove si trattano con garbo gli chef in erba.

Sulle sue critiche il cuoco milanese ebbe risposte piccate da alcuni dei citati, che ora dopo la sua morte si sono esibiti in pianti greci e ricordi commossi, dopo avergli dato, senza grande stile, del «rincoglionito». Eppure il suo piglio mostrava ben altro e certo il coraggio non gli mancava, essendo stato fra i primi grandi chef a ribellarsi allo stress della "stella Michelin" - e lui aveva raggiunto il top con le tre stelle - chiedendo esplicitamente di essere escluso dalla celebre guida. Guida che personalmente adopero - e che resta meglio del miscuglio senza capo né coda di "Tripadvisor" - ma che pare certe volte troppo conservatrice di posizioni acquisite non più meritate. Mi veniva da ridere sulla sovraesposizione degli chef, ben visibile in televisione dove un "angolo cucina" campeggia ormai quasi sempre con un cuoco verboso al lavoro, ma anche rispetto a certe derive di ricette mirabolanti che obbligano a decriptare i piatti sul menu, leggendo un libro regalatomi per Natale. Si tratta di un volumetto simpatico di Antonio Albanese intitolato "Lenticchie alla julienne", che è già tutto un programma. Ne traggo il pezzo della controcopertina per capire il tono e inquadrare il protagonista: «Molti sono i cuochi, ma c'è un solo Alain Tonné. Io l'ho conosciuto una notte sul molo di Marsiglia, sedeva nell'ombra, accarezzava distratto un polipo e osservando un cormorano mormorava: "Arrosto? Scottato al sale dell'Himalaya? Emulsionato con vellutata di alghe?". Mi ha subito fatto pensare a un uomo tormentato da qualcosa: un rimpianto amoroso, un traguardo non raggiunto, parole non dette, droghe avariate. Scusandomi con il polipo, mi sono seduto accanto a lui e gli ho chiesto di raccontarmi la sua storia. Lui mi ha squadrato per lunghi minuti, poi ha detto: "Non ti parlerò del torero". Ho annuito. Ha raccontato. Così, senza un perché, ho colto il segreto delle sue grandi ricette, delle "Alghe sferificate all'alito di cernia" e del "Riso tatuato all'incenso", dei "Vicini al sale" e del "Pollo Pollock", creazioni con cui lo Chef si è proiettato ben oltre i confini dell'alta cucina, della sperimentazione gastronomica e del buonsenso, entrando nel mito. E ho ascoltato le storie dei suoi trionfi planetari, dal "Fuorissimo Salone di Sondrio" allo show cooking al Forum di Davos, dal rinfresco fatale per un nobile scozzese fino a una memorabile sfilata di moda sulla cupola di San Pietro». Ci sono, come contrappunto nel libro, ricette inventate che sembrano purtroppo proposte vere lette in qualche menu. Tipo: "Mousse di cervo albino", "Purea di radici quadrate", "Polpette di licheni con corteccia al pesto". Temo che alcuni di questi titoli di piatti possano risultare davvero realistici in qualche proposta di chef che ormai volano molto più alto del dovuto ed Albanese avrà creato qualche acidità di stomaco in certi divi che si prendono ormai troppo sul serio. Imbattibili certi ingredienti di fantasia: "tabacco aromatizzato al cardo essiccato in una malga trentina", "zolla di muschio calpestato", "guanciale di opossum", "farina di eucalipto", "stecche di Gitanes senza filtro", "mandorle depilate da una filippina bipolare". Anche in questo caso riecheggiano certi eccessi che rendono le materie prime di certi piatti davvero risibili alla ricerca del massimo sensazionalismo. Sia chiaro in conclusione: ho gustato piatti denominati con definizione da poeti ermetici con prodotti lavorati di cui ignoravo l'esistenza per "colpa grandissima colpa". Per cui massimo rispetto, ma Albanese e certi ammonimenti del decano Marchesi servono davvero a restare coi piedi per terra ed a non prendersi troppo sul serio. Una risata può seppellire più di una colata di salse.