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03 ago 2017

Il lato solare della nostalgia

di Luciano Caveri

Quando si cercano le parole giuste bisogna sempre riflettere se nel loro uso siamo precisi. A me, per esempio e so che non è così per tutti, mi sento di dare alla parola "nostalgia" un'accezione intima che non mi dà sofferenza o dolore rispetto a persone, cose, luoghi del passato. Anzi, dovessi dire è una sensazione che mi scalda il cuore e mi conforta. Chi ha scavato nel termine, dalla sua origine dal greco antico sino a fare una cavalcata in diverse lingue europee è stato Milan Kundera. Seguite il flusso del suo ragionamento: «In greco, "ritorno" si dice "nóstos". "Álgos" significa "sofferenza". La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca ("nostalgia", "nostalgie"), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono "añoranza", i portoghesi "saudade"».

«In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica - continua Kundera - Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall'impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice "homesickness". O, in tedesco, "heimweh". In olandese: "heimwee". Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l'islandese, distingue i due termini: "söknudur": "nostalgia" in senso lato; e "heimfra": "rimpianto della propria terra". Per questa nozione i cechi, accanto alla parola "nostalgia" presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: "stesk", e un verbo tutto loro; la più commovente frase d'amore ceca: "stýská se mi po tobě": "ho nostalgia di te"; "non posso sopportare il dolore della tua assenza". In spagnolo, "añoranza" viene dal verbo "añorar" ("provare nostalgia"), che viene dal catalano "enyorar", a sia volta derivato dal latino "ignorare". Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell'ignoranza». Mamma mia che giri rispetto alla mia nostalgia. Per cui mi piace, perché sintetica, la celebre definizione, intrisa di poesia, di Antoine de Saint-Exupéry, quando scrive: «Quand tu veux construire un bateau, ne commence pas par rassembler du bois, couper des planches et distribuer du travail, mais reveille au sein des hommes le désir de la mer grande et large». Trovo, infatti, più stimolante questa forma di nostalgia che non serve solo - ed è legittimo comunque farlo - per guardare nel retrovisore, ma per stare meglio nel presente e persino - se possibile - come stimolo per guardare al futuro, come può essere appunto costruire, come metafora di una vita speranzosa, una barca. Ci pensavo stamattina per una cosa piccola e per una cosa grande. Quella piccola serve per sorridere ed è la nostalgia del "jukebox", di cui ho visto l'evoluzione sino alla sua estinzione. Anzi, nella tavernetta di mio papà aveva piazzato un'antesignana, che era una pianola che suonava, girando una manovella, diversi brani con un complicato sistema meccanico, il cui esito doveva essere - appena inventato - del tutto stupefacente. Esattamente come fu agli esordi il jukebox, che con il "flipper" (lui è sopravvissuto) è stato un simbolo negli anni Cinquanta e solo per certe generazioni se dici "Wurlizer" (nota marca di questi aggeggi) si alza il sopracciglio. Per me la nostalgia ha due visioni: un bar di Saint-Jacques di Ayas in pieno inverno con la neve fuori e qualche bicchierino di genepì e nella bella sala in legno che scricchiolava sotto i sabots ("tsoque") con questo jukebox luminoso che riempiva la serata canzone dopo canzone; oppure, all'opposto, bar della "Spiaggia d'Oro" a Porto Maurizio in costume da bagno e piedi nudi con, brano dopo brano, la "compagnia" ad ascoltare i successi del momento, sperando di far battere il cuore alla ragazzina che ti piaceva. Un uso della memoria adatto come tonico. Quella grande, legata a questa passione per la politica, è la nostalgia per periodi migliori di quelli attuali, quando la Valle d'Aosta contava di più e - non solo per una questione di soldi - aveva un'immagine diversa e migliore, che suscitava persino invidie e ci poneva come modello nel mondo alpino e della montagna. Quella nostalgia serve come molla per riflettere su come si possa di nuovo tornare a tempi migliori: una sorta di medicina per ripartire.