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01 ago 2017

Le profezie antimafia di Sciascia

di Luciano Caveri

Tommaso Cerno, da qualche mese nuovo direttore de "L'Espresso", ha dedicato il suo ultimo editoriale alla sentenza di Roma sulla questione "ex Mafia Capitale", visto che le condanne hanno escluso la "mafiosità". Cerno non è molto tenero: «Per questo dico senza paura che questa condanna non è il migliore regalo di Stato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell'anniversario delle stragi. E ci costringe a rileggere parole che risuonano come una oscura profezia, anche se stentano a prendere vita dentro un'aula di giustizia. La mafia non è un demone, è normalità. Non è sangue, è aria che respiriamo: "Una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza". Lo scrisse Sciascia, appunto, nel 1957. Quando quei giudici erano bambini o nemmeno erano nati».

«Lo scrisse in nome suo. Incurante di loro - continua Tommaso Cerno - Prima o poi lo riscriveranno anche i giudici in una sentenza. In nome del popolo italiano. Quello che può vincere contro gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. "Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma". (Leonardo Sciascia, "Il giorno della civetta", 1961)». Fatemi aggiungere qualche pensiero: il primo, molto semplice, riguarda il fatto che questa questione va presa con grande serietà, anche se poi nel Nord - Valle d'Aosta compresa - ad essersi diffusa è quel tipo di mafia particolare che è la 'ndrangheta calabrese - dimostratasi più invasiva e feroce persino di quella siciliana - ma questo, a conti fatti, non cambia purtroppo la sostanza. Resta sempre impressionante leggere l'Ansa di ieri da Torino: "In Piemonte e in Valle d'Aosta la 'ndrangheta ha messo radici. E' quanto emerge dalla relazione del secondo semestre 2016 della Dia (Direzione Investigativa Antimafia)". Fa piacere, seconda considerazione, che si torni a parlare di Sciascia che fu in parte crocefisso per un suo articolo del 1987 sui "professionisti dell'antimafia", che riletto oggi - mondato dall'uso strumentale che qualcuno ne fece allora - offre uno spaccato profetico sui troppi che si sono davvero approfittati di una lotta contro la mafia come trampolino di lancio, cui non corrispondeva sempre un impegno reale per combatterla, altrimenti non saremmo ridotti così a constatare che le infiltrazioni in zone immuni sono diventate falde profonde vere e proprie. Sciascia - io lessi "Il giorno della civetta" quando facevo IV Ginnasio e confesso che non ne cavai molto - ha scritto in lungo in largo del fenomeno e proprio in quel libro fotografò quegli aspetti dell'animo umano, che finiscono per catalogare l'umanità in modo forse feroce ma terribilmente realistico, che Cerno cita a chiusura del suo editoriale. La rimetto nel contesto del libro, quando il boss del paese Don Mariano viene interrogato dal Capitano Bellodi, ex partigiano emiliano che diventerà avvocato. L'ufficiale dei carabinieri, cercando di dipanare il filo di un delitto, incappa nel complicato sistema del potere mafioso, così spiegato dal capo mafioso: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…». E' una distinzione che è entrata nel costume. Con il suo uso linguistico, e che resta molto efficace nella descrizione del mondo e dei ruoli che ciascuno può interpretare. Libero ciascuno di noi di riflettere su queste diverse categorie, che sfioriamo ogni giorno e che vediamo all'opera nella commedia umana cui compartecipiamo quotidianamente.