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01 mag 2017

Alitalia, pensando al Casinò

di Luciano Caveri

Il "caso Alitalia" è tristemente istruttivo ed è una cupa cartina di tornasole della politica dell'annuncio e della promessa, cui non corrispondono a conti fatti le speranze innescate. La crisi della fu compagnia di bandiera è stata certo il frutto di errori gravissimi e forse irreparabili concatenatisi nel tempo. Resto convinto che la fusione con "Air France", sfumata nel 2008 e poi nel 2013, sarebbe stata la scelta giusta ed invece si puntò dapprima su di una cordata di imprenditori italiani, che si dimostrò disastrosa e poi spuntarono gli arabi che hanno portato alla situazione attuale sulle soglie del fallimento. Ricordo lucidamente i diversi avversari del fronte francese nel nome di un nazionalismo ridicolo contro "i cattivoni d'Oltralpe". I più preoccupati erano i difensori di Malpensa, poi spodestata in toto dalla banda di "Etihad" (gli stessi che hanno rifilato l'aereo presidenziale a Matteo Renzi), che spostarono su Fiumicino la ciccia ed ora anche questa scelta pesa.

In questi giorni, si prevedevano un salvataggio con l'aiuto dello Stato e nuovi sacrifici per i dipendenti, che in passato hanno goduto di paracaduti di lusso. Ebbene, l'accordo è stato bocciato da questi ultimi in un referendum. Ci sono sul punto diverse letture: dalla speranza di molti che alla fine la compagnia venga ri-nazionalizzata e dunque si rinvii nel tempo il fallimento con una nuova emorragia di denaro pubblico oppure c'è chi ha dato una lettura molto politica della questione. Tipo Lucia Annunziata che su "Huffington Post" ha fatto un parallelo fra referendum costituzionale e quello dei dipendenti "Alitalia": «Dal 4 dicembre della sconfitta del referendum costituzionale sono passate circa venti settimane, nemmeno cinque mesi, e sull'Italia del sistema che si culla nella sicurezza recuperata di una smemorata rimozione, si abbatte un nuovo "no", risultato di un nuovo referendum. Meno generale di quello sulle riforme , ma più preciso e più doloroso da scegliere, per chi ha votato. Un nuovo "no" che prova che sotto la cenere della vita pubblica italiana covano ancora le braci dello stesso scontento, della stessa furia che si riaccende in fuoco ogni volta che al Paese gli si ridà parola». Vedremo nei prossimi giorni che cosa ci sia davvero. Resta il fatto che ogni volta che capita di volare si pensa a diverse soluzioni possibili, raramente ormai a un volo di quel che resta di "Alitalia", che ora è sul mercato e chissà se davvero spunterà "Lufthansa". Certo ai valdostani non può non venire in mente per analogia il "Casinò de la Vallée" e le sue difficoltà sul bordo del baratro e le analoghe promesse del passato di soluzioni salvifiche. Anche se in realtà i suoi lavoratori hanno sempre accettato, credendoci, i sacrifici con tanto di referendum, ma chi i danni li ha creati - almeno per ora - non è mai finito davvero al pubblico ludibrio per errori marchiani e spese pazze (tipo la ristrutturazione) o inutili (come sul mercato cinese). Seguo con interesse, ma da spettatore rispetto al lavoro di chi ha scelto di assumersi in proprio tutto il peso delle scelte, la strada del nuovo piano di sviluppo con una grande iniezione di esperti al capezzale del grande malato. Anche se poi alla fine la responsabilità delle scelte spetterà, com'è giusto che sia, alla politica, se si vuole essere onesti nella definizione dei compiti su di un dossier in cui alla fine per evitare il peggio pagherà "Pantalone". E' probabilmente - visti i diktat che sono solo stati rinviati nelle norme per le partecipate e che impediranno in futuro intervento pubblici di sostegno - una delle ultime occasioni per evitare un fallimento e per rendere accettabile per qualche privato l'idea di rilevare l'attuale gestione pubblica. Sempre senza mitizzare il privato come elemento risolutore, visto che la crisi delle Case da gioco ha colpito anche nel mondo tanti privati che sembravano destinati a crescite infinite. Ma, come per il settore del volo aereo che ha subito rivoluzioni incredibili, anche il gioco cambia in continuazione, specie nell'Italia di uno Stato biscazziere che ha aperto il settore anche a gruppi inseritisi nel business assai ambigui e forse pericolosi. Chi si fermasse, indugiando per il Casinò di Saint-Vincent in formule che guardino ad un passato ormai del tutto diverso dal presente, sarebbe destinato a raccogliere solo guai. Ma vale la pena di essere speranzosi e augurarsi che la svolta risulti davvero decisiva per ripartire.