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30 apr 2017

Le fake news (bufale)

di Luciano Caveri

Mai come di questi tempi si discute in politica di come arginare le cosiddette "fake news", che come il famoso venticello del "Barbiere di Siviglia" di Gioacchino Rossini sono: «Un'auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrare» e così si diffondono - nel noto motivo - sino al possibile esito tragico «E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte ha crepar». In francese si dice: «Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose». Licia Corbolante nel suo interessante blog "Terminologia etc." si presenta cosí: «mi occupo di gestione e ricerca terminologica, localizzazione, localizzabilità, qualità linguistica e comunicazione interculturale».

E sul tema osserva con acume: «La diffusione dell'aggettivo "fake" (falso, contraffatto, finto, fasullo) nel lessico comune inglese è relativamente recente, probabilmente perché è di origine gergale. Le collocazioni più frequenti ricavate con "Google Ngram Viewer" includono "fake ID", "fake name", "fake money", "fake documents" ed ultimamente anche "fake news"». Più avanti dice: «La locuzione "fake news" è generica. In molti contesti è intercambiabile con "false news" e appare spesso associata a "misinformation" e "disinformation", "misleading, fraudulent, factually incorrect information" o "news" eccetera». Poi la parte che considero da sottoscrivere in toto: «Se l'espressione "fake news" è così generica in inglese, ha senso usarla anche in italiano? Secondo me è un anglicismo superfluo: possiamo dire "notizie false" o "notizie inattendibili" oppure usare "bufala" che nell'accezione "notizia priva di fondamento" è una parola breve, molto precisa ed efficace. Perché allora si sta diffondendo "fake news" anche in italiano? Direi pigrizia o scarse competenze linguistiche di chi traduce dall'inglese, ma anche l'ossessione di evitare la ripetizione, tipica del media italiani, che spinge a usare gli anglicismi come sinonimi. Mi pare anche che sia intervenuto un meccanismo tipico dell'itanglese e a "fake news" venga attribuito un significato più specifico, per ora assente in inglese: nell'uso italiano "fake news" sono le notizie false presenti esclusivamente online e [fabbricate per essere] condivise sui social media». Segnalo che in francese vale il "fausses nouvelles" del Québec e - per bufala - ci sta "bobard". Interessante la tecnica di Corbolante che annota sui post passati anche le novità nel frattempo emerse con precisazioni e ulteriori link. Così segnala a inizio anno: «Nell'inglese americano le connotazioni di "fake news" sono cambiate nel giro di pochi mesi con l'avvento al potere di Donald Trump, che usa ripetutamente la locuzione per screditare i media tradizionali». Insomma: le espressioni linguistiche evolvono e anche le tecnologie. Non sarà facile da quest'ultimo punto di vista trovare modalità efficaci per bloccare i "venticelli", che spesso assumono una vitalità impressionante, alimentare anche da quel fenomeno da indagare che sono le "Catene di Sant'Antonio" digitali, in cui ripetitori di stupidaggini o cattiverie diventano persone insospettabili. Quel che conta, più per gli aspetti penalistici che di costume, è poter trovare strumenti che consentano di poter risalire piano piano, anche se certi danni si dimostrassero irreparabili, al colpevole o ai colpevoli che hanno generato nell'ombra - confidando nello stesso anonimato degli spregevoli autori delle lettere anonime - la notizia farlocca, che poi vive di vita propria e talvolta si gonfia nel percorso come una travolgente valanga di neve.