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15 apr 2017

La democrazia incompiuta

di Luciano Caveri

Chissà che fine farà la democrazia con la sua evoluzione molto incerta. Il "caso valdostano" è significativo, ma lo è anche quanto avviene in Italia e pure in Europa. In Valle, dovendo usare un elemento cronologico, colpisce - in vista di una ridottissima tornata elettorale per le elezioni comunali - il fatto che nei tre Comuni interessati dal voto (Arnad, Issime e Valsavarenche) si è presentata una sola lista. Fenomeno già verificatosi in passato, ma oggi colpisce perché rischia di diventare una regola e non più un'eccezione anche in paesi dove il confronto politico è stato in passato piuttosto rude e chi vinceva lo faceva talvolta con una differenza di voti irrisoria. Si scompagina così uno dei principi della democrazia: l'esistenza di una competizione che porti ad avere una maggioranza e un'opposizione che creano quella situazione dialettica che sostanzia un confronto politico in chiave amministrativa.

Certo, volendo, se ne può dare una lettura buonista: una specie di embrassons-nous che, tenendo conto dei tempi grami, mette da parte certe divisioni - che in alcuni Comuni affondano le radici in antiche divisioni familiari prima che ideologiche tout court - per lavorare assieme in un'armonia da villaggio dei Puffi. La realtà, invece, è variegata ma non buonista: il venire meno dell'impegno politico, la considerazione che i consiglieri comunali non contino un tubo, le scarse risorse che obbligano a progetti senza speranza, il diminuire di risorse umane laddove i Comuni sono stati vittime di un rude spopolamento. Questa situazione di spaesamento colpisce anche la politica regionale, pur in modo diverso. Non è per ora solo il venir meno della partecipazione e neppure il rischio logiche di improbabili monocolori (tutti allegramente autonomisti...), ma pesa la confusione rispetto agli schieramenti maggioranza-opposizione, al di là di tutte le ragioni valide che possono portare a scompaginare le alleanze pre-elettorali previste per legge per dire agli elettori chi governerà. Certi spostamenti tattici e strategici alla lunga sono difficili da spiegare, anche se nel caso più recente hanno significato un salutare cambio di governo coinciso con la fine di un'epoca politica. Ma resta l'astensionismo crescente alle elezioni e un certo malessere popolare per toni di un confronto politico che sembra una battaglia infinita a colpi di clava, che scava fossati profondi di incomprensione non salutari per avere poi momenti di sintesi, come dovrà essere il lavoro sul nuovo Statuto d'Autonomia. Il paradosso è che questo dia spazi a chi è imbattibile ad accarezzare il pelo dell'elettorato - non con idee e programmi - ma con urla e strepiti fatti di demagogia e populismo. Il "caso Italia" è esemplare: la confusione ormai stabile fra maggioranza ed opposizione, atteggiamenti da dittatura da operetta non a caso battuti al referendum costituzionale, una mancanza di riformismo sano e non diretto da interessi cupi danno la stura a risposte potenzialmente eversive, come se molti italiani volessero non discontinuità intelligenti ma solo mandare messaggi belluini, senza pensare alle conseguenze future anche del proprio voto. Grande Indro Montanelli quando diceva: «Strano Paese il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo». Infine l'Europa: in crisi profonda, dopo decenni di compromessi politici, vede ora una classe politica senza progettualità per il futuro, con i popolari europei assi pigliatutto nelle Istituzioni comunitarie, proprio quando - almeno lì - non sarebbe stato sbagliato avere un fronte comune. Insomma: assistiamo sempre più a mondi alla rovescia. Arriva, come una profezia dal passato, la frase - scritta nel 1943 e la data è eloquente - dal filosofo Jacques Maritain: «La tragédie des démocraties modernes est qu'elles n'ont pas réussi encore à réaliser la démocratie».