Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
29 dic 2016

Era il dicembre del 1979...

di Luciano Caveri

Ho letto con un pizzico di rimpianto, insito negli anniversari, del ricordo per la nascita della televisione regionale della "Rai", il 15 dicembre scorso, anche se ne scrivo solo ora. Eravamo nell'ormai lontano 1979 e sembra passato molto di più dei trentasette anni realmente trascorsi. A dire il vero quel giorno io lavoravo per la concorrenza e seguimmo alla televisione quel primo telegiornale regionale, letto da Daniele Amedeo, e che ci sembrò - a noi che facevamo lo stesso lavoro a "Radio Tele Aosta" - un prodotto molto modesto rispetto al nostro standard, ormai largamente assestato. Ma in realtà nei giorni successivi per me si aprì un mondo diverso: una parte della politica valdostana mi riteneva, nel mio ruolo di giornalista in quella televisione privata di Giuliano Follioley, un "rompiballe", per cui - malgrado avessi solo vent'anni - venni serenamente licenziato.

Per cui, all'indomani di questo choc, cominciai - grazie all'allora caporedattore, il compianto Mario Pogliotti - a collaborare dall'esterno per la redazione "Rai" di Aosta, situata al tempo in via Chambéry. Ricordo che, in assenza di telefonini, dettavo al "dimafono" dei pezzi dalle cabine telefoniche di Aosta, cercando spunti originali per vedere passate le mie notizie alla "Voix de la Vallée" ed al telegiornale. Poi, quella che consideravo essere stata un'evidente sfortuna proprio sotto Natale, cioè quella di avere lasciato "RTA", diventò la mia fortuna. Era candidato per entrare in redazione un democristiano, Armido Chiattone (che da anni vive in Portogallo), che - allora assicuratore dell'"Ina" - quando scoprì quanto poco si guadagnasse da praticante giornalista rinunciò, ma c'era la necessità di coprire questo posto in fretta per rimpinguare le fila dei giornalisti. Spuntò, grazie alla stima di Pogliotti e al placet sindacale del Comitato di redazione, il mio nome, che alla fine venne digerito a Roma e dunque - senza una quota precisa di riferimento - mi ritrovai in "Rai" il 22 febbraio del 1980, il giorno del compleanno di mio papà, se la casualità talvolta finisce per avere un suo perché. Furono anni bellissimi sino alla candidatura con successo alla Camera dei Deputati nel giugno nel 1987. Anche in quel caso fu l'esito di una serie di combinazioni, che mi strapparono al mio lavoro di giornalista appassionato da questo mestiere con la fortuna - nelle sedi regionali - di poter lavorare sia per la radio che per la televisione. Molti colleghi "passati" per Aosta non a caso finirono smistati a Roma o in radio o in televisione grazie a questa formazione a tutto tondo. Posso dire, da questo punto di vista, di essere stato molto fortunato: non sempre nella vita si è nel posto giusto al momento giusto. La mia generazione - e mi riferisco a chi voleva fare il giornalista - ha avuto la fortuna di vivere il momento nascente delle radio e delle televisioni private: uno spazio di libertà senza eguali. Avevo fatto radio da giovanissimo, prima con "Radio Saint-Vincent" e poi con "Radio Reporter 93" a Torino, e poi - come raccontavo - l'avventura televisiva. Con il vantaggio all'epoca di forme di contrattualizzazione che evitavano eccessi di incertezza, quelle che in questi anni non sono più garantite con lunghe attese per uscire da varie forme di precariato. Il Web, anch'esso nascente negli anni passati, non ha creato le medesime possibilità che valsero per noi ragazzi di allora. Leggevo in queste ore una bella intervista del novantenne cantante francese di origine armena Charles Aznavour che dice una cosa giustissima per non avere poi dei rimpianti : «Il faut boire sa jeunesse jusqu'à l'ivresse». E' una frase che qualunque giovane dovrebbe appuntarsi, pur tenendo conto ovviamente che ogni generazioni vive in condizioni diverse, pensando proprio a mio papà che alla stessa età in cui io entravo alla "Rai" si trovava in campo di concentramento in Germania. Mio nonno materno, Emilio Timo, alla stessa età era soldato di Cavalleria in Libia e il mio nonno paterno, René Caveri, studiava Giurisprudenza a Torino, dopo avere fatto le scuole superiori al "Collegio Maria Luigia" di Parma. Quindi nostalgia del passato e la giusta dose di realismo sul fatto che ognuno ha un destino, che solo in parte costruisce da solo, vanno messe entrambe in saccoccia, sapendo che così è la vita e certi anniversari servono in fondo per capire chi siamo stati e chi siamo adesso, trasformati dal tempo che passa, senza temere quello che verrà. E' bello quel pensiero di Paulo Coelho che così racconta: «Ogni essere umano, nel corso della propria esistenza, può adottare due atteggiamenti: costruire o piantare. I costruttori possono passare anni impegnati nel loro compito, ma presto o tardi concludono quello che stavano facendo. Allora si fermano, e restano lì, limitati dalle loro stesse pareti. Quando la costruzione è finita, la vita perde di significato. Quelli che piantano soffrono con le tempeste e le stagioni, raramente riposano. Ma, al contrario di un edificio, il giardino non cessa mai di crescere. Esso richiede l'attenzione del giardiniere, ma, nello stesso tempo, gli permette di vivere come in una grande avventura».