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02 dic 2016

Tartufo: luci e ombre

di Luciano Caveri

Il naso non mi manca e mi riferisco non solo alla sua mole, ma soprattutto all'olfatto, che è strumento prezioso per godere degli odori buoni e anche un senso utile per essere vigile con gli odori cattivi. Profumo e puzza sono due contrari che si completano, come altre cose in chiaro e scuro della nostra vita. E' di queste ore un esercizio piacevole con il mio naso ad una festa del tartufo, quella di Murisengo, paese che si trova in Valcerrina ai confini del Monferrato Casalese e della Provincia di Alessandria di cui fa parte dal punto di vista amministrativo. Entrando nel grande padiglione espositivo, gli effluvi del tartufo penetravano le narici e snasare da vicino questo fungo riportato in superficie è sempre un'esperienza inebriante.

Confesso che a leggerne la storia del Tartufo si capisce poco: sembra essere prodotto antico nel suo apprezzamento e diffuso in molti luoghi. Ma un minimo di esperienza da gourmet mi ha confortato sul fatto che la vera valorizzazione del prodotto come eccellenza gastronomica è recente e riguarda - almeno nel mio gusto personale - anzitutto il tartufo bianco piemontese e svetta fra i territori quello d'Alba. È in questa cittadina che inizio la storia più recente. Così la racconta il sito del "Centro Studi Beppe Fenoglio": «Nel corso della Festa vendemmiale del 1928, commissario prefettizio il commissario avvocato Francesco Viglino che era anche presidente del Comitato organizzatore di cui era segretario tesoriere Vittorio Paganelli, ebbe un grande successo, fra le varie mostre, quella dei tartufi, proposta da Giacomo Morra (1889 - 1963); era il primo tentativo di valorizzare un prodotto già conosciuto e largamente diffuso come simbolo di prestigio fra i contadini che omaggiavano di preziosi tartufi il medico di famiglia, il veterinario, il notaio, il farmacista, la maestra del paese e quanti ai quali, in qualche modo, si voleva rendere un doveroso atto di ossequio e riconoscenza. La mostra dei tartufi suscitò così tanto interesse che si decise di trasformare l'esposizione in mostra permanente con premi ai migliori pezzi presentati da trifolao e commercianti così, nel 1929, inserita nei festeggiamenti della Festa vendemmiale, si organizzò la "Fiera mostra campionaria a premi dei rinomati Tartufi delle Langhe". Si scelse come periodo il tardo autunno per cogliere il momento in cui il prezioso fungo sviluppava il massimo del profumo e del sapore». In meno di un secolo il fenomeno è esploso e oggi fa impressione constatare quanto business ruoti attorno alla "trifola", come si dice in piemontese e come non evocare l'eco di "trifolla", la patata in francoprovenzale. Da questo punto di vista confesso, avendo a suo tempo studiato la materia e persino predisposto una proposta di legge sui tartufi rimasta negli annali della Camera dei deputati (la numero 5921 del 19 aprile 1999), che sono sempre più stupito da due fenomeni. Il primo è l'eccesso di prodotto in giro, che presuppone l'esistenza di molto prodotto artefatto con tartufi di scarso valore di provenienza estera che viene truccato per essere spacciato per quello buono. Il secondo riguarda i rischi di aromatizzazione di prodotti vari "al tartufo", di cui sarebbe bene conoscere l'esatto trattamento. Sarebbe interesse dei trifulau onesti e dei trasformatori corretti pretendere un salutare repulisti, pensando al rischio di una perdita generale di credibilità. Quando si mangia del tartufo vero tra profumo e apprezzamento delle papille gustative, è difficile farsi ingannare e resta un'esperienza importante, che parte da un prodotto povero e semplice che ha raggiunto quotazioni da capogiro perché sa sposarsi con piatti che restano nella memoria, come la fonduta di "Fontina", l'uovo al tegamino, la carne cruda e i semplici "tajarin" (pasta all'uovo). Roba da leccarsi i baffi!