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23 nov 2016

La confessione

di Luciano Caveri

Padre, ho molto peccato. L'altra sera ad un confronto sul referendum del 4 dicembre ci sono stati momenti in cui ho sbroccato e ora sono qui a confessarmi per ottenere comprensione e aiuto. Cosa mi ha fatto perdere la pazienza? Purtroppo devo cominciare dall'inizio: confesso di avere seguito per anni le riforme costituzionali sia nelle discussioni preliminari che nelle loro conseguenze fattuali sulle modifiche alla Costituzione del 1948 e pure sullo Statuto di Autonomia della Valle d'Aosta suo coetaneo. Questo forse ha causato in me una certa presunzione, di cui faccio ora pubblica ammenda, perché ormai in questa storia del referendum tutti sono diventati costituzionalisti e penso che esistano dei kit appositamente distribuiti che consentono, come le scuole di recupero che fanno cinque anni in uno, di ottenere competenze spiccate anche in una materia così complicata.

Mi inalbero - ma certo è colpa mia - quando sento ripete slogan e baggianate, mentre dovrei dimostrare saggezza e pazienza, specie con certi esponenti del Partito Democratico che si sono scoperti renziani, che ormai fa rima con "pretoriani". Ma, lo ripeto, sono molto contrito e chiedo scusa pubblicamente. Il mio battito cardiaco si accelera - come avveniva al pacato Dottor Jekyll quando diventava il violento Mister Hyde - di fronte non solo a discorsi fumosi e retorici, ma soprattutto di fronte a chi ormai pone dei diktat: senza la riforma costituzionale siamo destinati alla sciagura. Un atteggiamento millenaristico, che lascia intendere da parte dello stesso Matteo Renzi che, senza di lui, uomo della Provvidenza, tutto sarebbe destinato ad andare a catafascio. Devo ammettere che questa campagna referendaria è stata piuttosto curiosa, alternando il Premier fiorentino due diversi atteggiamenti. Da una parte l'incredibile personalizzazione della sfida, ponendo sul piatto il suo carisma e le sue competenze come elemento cardine di un grande cambiamento che non può fare a meno di un Comandante supremo che con la sua persona cambi i destini di un Paese. E poi, dall'altra, aspetti più contenutistici, cesellati attorno ad una riforma costituzionale - macchina complessa - destinata a trasformare uno Stato scalcinato in una macchina meravigliosa che comandi e disponga da Roma equilibri e dinamismi che ci facciano assurgere a capofila dell'Europa, del mondo e forse persino dell'Universo. Ora siamo di nuovo in questa fase: da referendum a "Renzerendum", di cui è plastica dimostrazione il pieghevole inviato agli italiani all'estero, una forza di quattro milioni di votanti, molti dei quali non sanno neppure dove sia l'Italia, ma anni fa trionfò la logica di estrema destra di dare voce anche a chi non sa nulla, eleggendo rappresentanti come il senatore Antonio Razzi, in barba al principio "No taxation without representation" è uno slogan la cui traduzione è "No alla tassazione senza rappresentanza", che nei nascenti Stati Uniti - durante gli anni a metà Settecento - riassumeva una lamentela primaria dei coloni britannici nelle Tredici Colonie, che fu una delle cause principali della Rivoluzione americana. Ebbene questo dépliant inviato come capo del PD, ma con book fotografico e contenuti da Premier, dimostra quanto Renzi conti sulla propria titanica personalità per vincere. D'altra parte, Padre, questo miscuglio fra Partito e Governo, che ormai come un virus ha preso tutti i Ministri, è ben visibile nelle infinite tournée dappertutto in una logorante campagna elettorale in cui si mischiano ruolo istituzionale e ruolo politico, accomunate da logiche di annuncio, di racconto, di promessa nel senso del #cambiaverso, che a me ormai fa venire in mente il lupo nel lettone della nonna che fa la voce della vecchina, che si è appena mangiata, di fronte alla povera Cappuccetto Rosso, pur insospettita. E' qualcosa che mi prende alla pancia, sì - lo ripeto - alla pancia, anche se so bene che devo votare con il cervello e non con le budella. Ma non ce la faccio e mi arrabbio di fronte ai ragionamenti: «volete tenere tutto così voi del "No"? Bravi, ci porterete alla rovina, mentre noi - che al Paese ci teniamo - non siamo retrogradi ma guardiamo al futuro». E se adombri il rischio di una svolta autoritaria, mischiando alcune norme costituzionali con quella schifezza della legge elettorale chiamata "Italicum", l'atteggiamento da strafottente diventa di pietà per chi in fondo non è altro che un pessimista (#gufo), che non capisce la forza delle novità e il radioso destino che attende l'Italia, come dimostra il trionfo di tricolori sgargianti che hanno invaso l'ufficio di Renzi a Palazzo Chigi con un ammainabandiera senza cerimonie per la bandiera europea, visto che - archiviata la gita a Ventotene dove c'erano gli europeisti federalisti ai tempi del confino - l'Europa è diventata nemica almeno quanto le Regioni, cui vanno tolti poteri e competenze perché - sia chiaro - «L'Etat c'est moi». Per cui, forse, l'unica soluzione è la resa (#staisereno), subito dopo la Sua assoluzione. Bisogna convincersi che va bene così, che ogni moto di ribellione deriva da immaturità e da scarsa conoscenza, mentre bisogna sapersi illuminare d'immenso. E, per carità, non si adombri uno scenario terribile per la Valle d'Aosta, risucchiata da una macroregione e marginalizzata come vallata in più nell'area metropolitana di Torino, perché questa è controinformazione lesiva dell'obbligo all'ottimismo. Ormai mi fanno lezione anche maestri elementari, membri di CdA, addetti stampa non giornalisti fattisi - specie se riassumono tutte queste doti operose - costituzionalisti di grido e mi rassegno con la necessaria umiltà al loro magistero e al cilicio cui sembro essere destinato. Poi aspetto fiducioso - se ci saranno - il perdono e la remissione dei peccati.