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17 nov 2016

Niente macroregione alpina senza Cultura

di Luciano Caveri

E' molto difficile penetrare in profondità negli scenari possibili del futuro. Chi mi segue sa che questo è per me un autentico rovello: una delle chiavi del successo di una comunità sta nella massima capacità di avere una visione dell'avvenire per capire come prepararsi. So bene che esiste sempre un margine di imponderabilità e dunque avere un'attitudine previsionale rigida - tipo il famoso dirigismo sovietico di infausta memoria - è rischioso esattamente come, all'opposto, sarebbe insensato avere un atteggiamento di rassegnato fatalismo per quello che verrà. Ho sempre creduto, proprio in questa logica, che immaginare una capacità di dialogo fra tutte le Regioni alpine sia un aspetto doveroso per il futuro, tra l'altro reso più agevole quest'oggi dal moltiplicarsi di tecnologie che rendono più facile e quotidiano il dialogo se esiste la volontà di farlo.

Sapendo appunto che le Alpi pagano il fatto di far parte di un sistema in cui ci sono difficoltà di collegamento orizzontali lungo il lungo asse montano che inizia e finisce nel Mediterraneo e questo vale purtroppo anche in verticale tra il versante Sud e quello Nord e ciò per ragioni storiche dovute alla nascita e al consolidamento degli Stati Nazionali e all'irrigidimento confinario, che è stato anche insanguinato dalle guerre che hanno martoriato il Vecchio Continente. Le prove di dialogo sono state varie: le più eclatanti sono state due. La prima ha riguardato la famosa "Convenzione Alpina" che risale agli anni Novanta e che si è concretizzata in un mare di documenti, spesso molto interessanti, ma con il limite che sono state le Capitali dei Paesi a gestire la gran parte dei dossier e questo ha creato sin da sempre la sospettosità delle autorità locali e l'assoluta distanza dalle popolazioni alpine. In sostanza è un progetto rimasto al palo, anche se spiace dirlo, anche perché ho speso molte energie, sia a livello internazionale ma anche in Italia, per dare gambe più democratiche all'idea. La seconda è la "Strategia macroregionale alpina", ormai per fortuna avviata: anche per questa proposta, oggi finalmente per strada, ho lavorato fin dall'inizio. La sfida è interessante, ma percorsa ancora da un filo d'ambiguità che percorre il progetto: le Alpi sono montagne ed ai loro piedi ci sono zone e città subalpine da sempre interconnesse. Si può avere una strategia rispettosa delle zone montane vere, sapendo che esistono territori urbani cui fare forzatamente - ma anche per ragioni storiche - riferimento? Esiste un rischio, per così dire "imperialistico", che sposti risorse e idee nelle aree alpine meno montane, con un evidente paradosso? E ancora: se il passaggio, finalmente davvero europeo, si limitasse al livello politico o peggio burocratico davvero pensiamo che in qualche modo questo creerebbe quei legami che si possono auspicare? Allora guardiamo le cose da un altro punto di vista, quello culturale, senza il quale tutto rischia di essere un castello di carte. Consiglio a questo proposito di seguire il lavoro, chiamato "Alpemagia", del fotografo valdostano Stefano Torrione, in mostra ad Aosta fino al 19 febbraio presso il "Museo archeologico regionale" di Aosta con il titolo ulteriore "Riti, leggende e misteri dei popoli alpini". La rassegna presenta novantadue fotografie (scelte su migliaia e migliaia di scatti da vera ricerca etnografica, che restano come fondo di vivo interesse) di grande formato che ci conducono nel mondo "magico" della cultura popolare alpina. Cosa c'entra? C'entra moltissimo perché dimostra come, sin dalla radici più antiche ed al di là della lingua che si parla, esistono assonanze e analogie nel mondo alpino che derivano da elementi comuni, compresa la circostanza - valida poi per tutto, compresa l'economia - che l'ambiente naturale e i problemi concreti offrono questo quadro di riferimento a cui le varianti di civiltà presenti sulle Alpi non possono sfuggire e di questo, come fondamenta di ogni progetto politico, bisogna avere la consapevolezza. Altrimenti nascono progettualità senza riscontro con la realtà, destinate a vivere nelle carte e non nella coscienza più profonda di quelle persone, che troppo spesso nelle montagne sono state convinte di essere "lassù gli ultimi", schegge di un mondo finito e sconfitto, destinate alla marginalità ed all'oblio, mentre il sistema alpino è un mondo grande e plurimo, che guarda al passato ma vive nel presente sapendo che il domani obbliga a guardare avanti ed a progettare assieme, perché così si è anche più forti e si conta di più.