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03 ott 2016

La politica è confronto

di Luciano Caveri

Capita un certo periodo di non andare a manifestazioni politiche, specie in questo momento in cui sono fra coloro che sono "sospesi" senza una casa dopo due dolorosi distacchi, poi te ne ritrovi lo stesso giorno due, una dietro l'altra. La prima, al mattino a Courmayeur, nel salone, anche cinema, della stazione intermedia del Pavillon della nuova funivia del Monte Bianco, invitato per i settant'anni della "Jeunesse Valdôtaine" con la presenza di diversi movimenti giovanili italiani ed europeo. La seconda nel pomeriggio, nel rinnovato albergo del centro aostano, il "Duca di Aosta", organizzata da "Alpe" nel quadro dell'"Université d'été" dell'"Alleanza Popoli Liberi", che riunisce movimenti politici autonomisti (sino all'indipendentismo) d'Italia e d'Europa.

In fondo il caso vuole che ci sia un "fil rouge" in questa contemporaneità, perché i temi evocati si somigliano, malgrado le differenze - più celebrativa per ovvie ragioni la "Jeunesse", più legata a macroregioni e riforma costituzionale quell'altra - che ci sono state. In entrambi i casi, comunque, occasioni per guardarsi attorno ed evitare di essere provinciali nel rischio di osservarsi compiaciuti solo il proprio ombelico o cadere nella trappola di fare del legittimo dibattito politico una rissa da pollaio per compiacere il gallo di turno. Io, nella ovvia differenza degli interventi, ho adoperato nelle occasioni due citazioni da due autori. Il primo è il bizzarro ma efficace federalista Denis de Rougemont: «L'Europe est beaucoup plus ancienne que ses nations. L'Europe a exercé dès sa naissance une fonction non seulement universelle, mais de fait universalisante. Elle a fomenté le monde. L'Europe unie n'est pas un expédient moderne. Mais c'est un idéal qu'approuvent depuis mille ans tous ses meilleurs esprits». Questo è un pensiero profondo: oggi possiamo condannare a morte una certa Europa, sommatoria degli ormai vetusti Stati Nazionali (che centralizzano profittando della crisi economica e delle paure del terrorismo islamico e pure dell'immigrazione senza regole certe), perché stride rispetto ad ogni speranza federalista, ma non si butta via l'idea antica che sottende. La seconda citazione ci aiuta di più ad entrare nella soluzione di un problema evidente e cioè come avere un'Europa che tenga conto dell'obsolescenza delle logiche confinarie degli Stati in crisi (pensiamo alla nostra area del Monte Bianco), ma che non sostituisca grottescamente il nazionalismo statuale con uno di taglia ad oggi regionale e men che meno con un centralismo europeo opprimente. Ci soccorre così uno dei padri del federalismo personalista, Alexandre Marc, che denunciò per tempo gli orrori delle dittature fascista e comunista, così come i drammi causati dal comunismo noto come "socialismo reale". Come non condividere i suoi pensieri fatti di affermazioni come «notre Europe sera polyphonique et polychrome ou elle ne sera pas», segnalando «les vertus de la multi- appartenance» puntando con forza «vers l'épanouissement de toutes les ethnies». Con un chiarimento rispetto a «l'Europe n'est pas une nation et n'est pas prête à le devenir. Sa fin est toute autre, ériger un modèle nouveau inspiré - mais jamais à un tel niveau (celui d'un continent) - par des expériences multiples (économiques, sociales, voire politiques) d'une libre fédération des communautés libérées». Questo andrà discusso in tutto il 2017, quando si ricorderanno i settant'anni del "Trattato di Roma" per uscire da una crisi plumbea dell'Unione europea attuale, che rischia di farci inghiottire da un vortice di rivalità e incomprensioni e, visto che per millenni il Vecchio Continente è stato un campo di battaglia, è meglio pensarci prima. Intanto nel 2016 va fermata la riforma renziana della Costituzione, che è la premessa ad uno Stato autoritario con le Regioni ridotte al livello delle vecchie Province e - questo avverrebbe dopo referendum se vincesse il "sì" - poi sarebbero la fusione tra di loro in macroregioni nel progetto irricevibile in ogni caso, specie però per una realtà come quella valdostana, che da secoli evidenzia un desiderio di autogoverno del proprio territorio.