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19 set 2016

Gli interrogativi su certa cooperazione sociale

di Luciano Caveri

Ero deputato quando alla Camera nel 1991 passò la legge sulle cooperative sociali: si trattava di un evidente passo in avanti per dare gambe più solide a un'attività dai nobili intenti, per altro in linea con alcuni dettami federalisti nell'economia. Ma oggi, a quindici anni di distanza dall'approvazione di quella normativa, basta guardarsi attorno per capire come se già sulla cooperazione in generale qualche riflessione andrebbe fatta - visti i colossi dell'economia che si nascondono dietro il paravento della cooperazione - qualche pensiero problematico valga ancor di più per chi cela dietro elevati principi il legittimo desiderio di guadagno, che però prevederebbe - per chi usi escamotage e naturalmente non faccio di tutta un'erba un fascio - altre formule societarie per avere limpidezza nel mercato in ossequio alla concorrenza.

Partiamo dall'inizio: che cos'è una "cooperativa sociale"? Senza essere troppo inventivi prendiamo una definizione per così dire ufficiale: "Le cooperative sociali sono imprese finalizzate al perseguimento degli interessi generali della comunità, alla promozione umana ed all'integrazione sociale dei cittadini (articolo 1 della legge 381 del 1991). Questo scopo è perseguito attraverso la gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi (tipo A) o lo svolgimento di attività produttive finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Una cooperativa sociale, quindi, è un'impresa che a differenza delle imprese con fine di lucro organizza le proprie risorse per il perseguimento di scopi sociali ovvero per soddisfare un bisogno collettivo". Ad essere ancora più precisi usiamo una definizione dell'"Istituto Malacarne", ancora più illuminante e meno burocratica: "Caratteristiche salienti: piccola dimensione, raccordo con la comunità locale, territorialità; vicinanza al mondo del volontariato; propensione a sviluppare servizi sociali non tradizionali e non concorrenziali con i servizi pubblici; capacità di integrare risorse umane ed economiche di diversa origine, per destinarle ad obiettivi sociali; e come per tutte le imprese, possibilità di creare nuova occupazione; gestione e organizzazione di servizi sociali secondo criteri e modalità di impresa, ma senza fini di lucro (impresa sociale); impresa ad elevata partecipazione dei soci". Bella storia, no? Importanti ideali - vien da dire una "scelta di vita" - sottendono questa attività fatta da un imprenditorialità diversa e solidale, radicata localmente e non calata dall'alto da interazioni affaristiche, che sono legittime ma non prevedono trucchi (con benefici fiscali). Facciamo un passo avanti e chiediamoci: quali differenze ci sono tra le cooperative sociali e gli altri tipi di cooperative? "Le cooperative sono società mutualistiche che sono nate per soddisfare il bisogno dei soci (bisogno di lavoro = cooperativa di produzione e lavoro; bisogno di abitazione = cooperativa edilizia; eccetera). Le cooperative sociali, invece, nascono per soddisfare un bisogno collettivo, ovvero il perseguimento di un interesse generale della collettività, quali la promozione umana, la prevenzione dell'emarginazione, eccetera. Quindi la cooperazione sociale nasce innanzitutto per soddisfare un bisogno collettivo ma riesce anche a conciliare il lavoro per i propri soci attraverso la gestione di servizi socio-sanitari o integrazione lavorativa di soggetti svantaggiati". Questo è l'altro punto: nelle cooperative sociali si prevede l'inserimento a pieno titolo - e non con una logica di facciata - di "soggetti svantaggiati" e ben si sa quanto sia difficile, anche in Valle d'Aosta, trovare lavoro per chi abbia situazioni, ad esempio, di invalidità. Quel che e certo è come i dati più recenti dimostrano che il fenomeno della cooperazione sociale sia importante: le cifre più recenti a disposizione - li traggo da "Euricse" - parlano di circa 300mila occupati per un totale di dodicimila cooperative, che fatturano dodici miliardi di euro. Torta che ha attirato loschi figuri di "Mafia Capitale", che hanno mostrato con chiarezza cosa sia ad esempio il business dei migranti, ma pare che ora ci sia sui rischi di queste infiltrazioni una curiosa amnesia. Ciò detto c’è, tornando al tema generale, da chiedersi seriamente se esista una rete reale di controllo che consenta di separare il il grano dalla pula. L'argomento - e per questo me ne occupo - non sembra per nulla estraneo neppure alla piccola Valle d'Aosta sia per chi arriva dal di fuori - sotto il cappello della cooperazione sociale - per occupare spazi importanti nel Sociale (con la maiuscola), sia per certi soggetti locali che si possano occupare dello stesso ambito su cui sarebbe interessante accendere i fari. Non è polemica, ma si tratta di evitare che negli interstizi della normativa si nascondano questioni dubbie grandi come delle case sul solco fra mission e realtà.