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19 set 2016

Una scuola analogica o digitale?

di Luciano Caveri

«L'objectif principal de l'éducation est de créer des hommes qui sont capables de faire de nouvelles choses, sans se contenter de répéter ce que les autres générations ont fait. Des hommes qui sont créatifs, inventeurs et explorateurs». (Jean Piaget) Ne parlo non a caso all'inizio dell'anno scolastico, giorno in cui spesso la retorica celebrativa oscura i mille problemi irrisolti della scuola, il cui esempio plastico è il fallimento delle aspettative di normalità derivanti dal famoso "concorsone" e le delusioni di una "buona Scuola" che avrebbe dovuto cambiare tutto, mentre vivacchia di racconti e promesse. Ma si sa che talvolta ci si limita agli annunci nel pensiero che basti e avanzi nei confronti con i cittadini, considerati facili da abbindolare e ci sono casi illustri che dimostrano come questo possa avvenire.

Non sono un esperto in materia e per altro non so neppure bene che materia in particolare o quante materie concomitanti dovrebbero riguardare l'approccio che la scuola elementare (che oggi si chiama "primaria") deve avere con i bambini nativi digitali. A naso direi che siamo in una logica interdisciplinare, come mi sembra emergere da alcune sperimentazioni positive, che mi pare restino eccezione e boccheggino per mancanza di fondi. Mi spiego meglio: i bimbi degli anni Duemila hanno guardato al nuovo Millennio senza pezzi di passato appresso e si sono trovati in un mondo fatto di tablet e telefonino con una dimensione multimediale che è per loro un patrimonio già acquisito e non conquistato sull'onda del cambiamento, come per chi era cresciuto in un mondo ben diverso e questo vale proporzionalmente in modo più grande più si è vecchi. Poco più di una quindicina di anni fa - per avere percezione dei cambiamenti che avvengono in tempi rapidi - per i miei figli all'inizio della loro percorso di studenti mi posi già il problema di come dovessero impattare con un mondo scolastico per il quale il computer era una dimensione inesistente. Ricordo che regalai alla scuola un mio "Mac" nella speranza che fosse utile per evitare che non ci fosse neppure un richiamo a qualcosa che si stava diffondendo nella vita quotidiana. Oggi - come dicevo - ci sono apparati più piccoli e più flessibili con cui i bambini interagiscono con grande destrezza e familiarità e il fatto di non vederli utilizzati nella scuola - che occupa gran parte della loro giornata - crea un effetto negativo di distacco e di estraneità rispetto al resto della propria vita. Mi pare che il problema non venga affrontato, perché per ora vige la tradizione e dunque vi è la moltiplicazione dei libri per i bambini, benché le finanze pubbliche vacillino, e mi dicono sia ancora ben viva la logica - che ho già visto con i miei primi figli - della fotocopia come sistema didattico. Quando decisi come presidente della Regione il "bonus" per un computer per i diciottenni, era solo l'inizio di un percorso affinché non fosse una regalia o un vuoto a perdere. Ma era una riflessione che riguardava una Valle d'Aosta digitale che riempisse di contenuti non solo l'uso di strumenti (hardware e software), ma anche il tema decisivo della connettività. Ricordo su Ayas la sperimentazione di sistemi wi-fi innovativi, mentre poi si è scelto l'utilizzo della fibra ottica, senza una reale discussione su sistemi diversi per accedere al Web. Sui contenuti, e cioè sull'utilizzo della fibra dopo la conclusione dei costosi lavori infrattruttutali, poco si sa, anche se molte cose avrebbero potuto avere come punto di riferimento nella scuola e per il vasto mondo dell'e-lerning (metodi di apprendimento con metodi informatici, capitali per francofonia e altre lingue). Speriamo che questa strada sia primo o poi percorsa, fuori dalle sole sperimentazioni, e che quei cittadini innovativi di domani - di cui alla frase iniziale di Piaget - possano essere forgiati oggi.