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03 ago 2016

Occorre pensare

di Luciano Caveri

Lo scrivo per l'ultima volta, avendo la convinzione profonda che il gioco dei veleni e degli intrallazzi non mi interessa per nulla sia perché nuoce gravemente alla salute sia perché non crea confronti ma scontri e non ce n'è bisogno. Anche se ciò deve avvenire nella necessaria chiarezza fra chi governa e chi sta all'opposizione, ruoli cardine nelle istituzioni e chi non ne tiene conto viola principi costituzionali. Comunque sia, più passa il tempo e più mi accorgo che il confine fra la tragedia e la farsa è molto sottile. Mi fanno - da questo punto di vista - sorridere amaro quelli che fanno dei cambiamenti del tutto radicali delle proprie posizioni e fanno finta di niente, cercando di camuffare la magagna, come se nulla fosse capitato e nella considerazione che gli astanti siano fessacchiotti facili da buggerare. Le tecniche applicate per "faire semblant de rien" sono simile alla tattica di far abboccare all'amo il pesce e farlo finire nel cesto da pescatore con promesse per il futuro, mentre frigge l'olio nella pentola.

Sono azioni simili a quelle di Kaa nel "Libro della Giungla", quando la serpentessa vuole mangiarsi da buona pitonessa il povero bambino selvatico Mowgli, avvolgendolo nelle sue spire e lo fa ipnotizzandolo con i suoi occhi magnetici e seducenti. Ma sempre di un viscido serpente si tratta, perché nell'azione ammaliatrice voleva solo fregarti come fece un altro più noto serpente con la mela e i poveri Adamo ed Eva nel "Paradiso terrestre". Proviamo a cambiare la visuale guardando il medesimo panorama. Le frasi di Winston Churchill hanno il pregio di essere dirette e taglienti, tipo: «La politica è eccitante quasi quanto la guerra e quasi altrettanto pericolosa. In guerra puoi essere ucciso una sola volta, in politica molte volte». Per fortuna non scorre sangue vero. Dopo la scelta di uscire dall'Union Valdôtaine Progressiste, francamente dolorosa, anche se proporzionalmente meno di quanto fosse stato per il dispiacere per la fuoriuscita dall'Union Valdôtaine, mi sono fatto un esame di coscienza. Poi un amico valdo-partenopeo (cittadino del mondo, abituato al difficile ambiente della finanza internazionale) mi ha sfottuto: «Luciano, ma bisticci con tutti?». Non penso, checché ne dicano coloro che non mi amano, di avere un caratteraccio, ma ammetto la testardaggine nel difendere le mie posizioni e nel non cambiarle spesso come si fa con le mutande. Anzi: pur considerando che solo "i cretini non cambiano mai idea", penso che per farlo ci sia buone ragioni e non interessi di potere o di denaro. Oltretutto è più coraggioso chi se ne va di chi resta e mugugna, facendo finta di convincersi di certe buone ragioni, malgrado sia evidente che si tratti di un paravento. Lo ha scritto con garbata ferocia Massimo Gramellini: «Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi». E io mi sento vivissimo. Certo, però, che andarsene di nuovo è stato come sentirsi male due volte. Il vantaggio è che, per fortuna, è una male passeggero e occasione preziosa per un salutare punto a capo. E ripartendo - perché questo è quanto ha forgiato la mia vita - dalla politica, perché se l'antipolitica è una malattia infantile è vero che, con Thomas Mann, «l'apoliticità non esiste. Tutto è politica». Ed è un diritto insito nella democrazia e dovrebbe essere pure un dovere come elementare impegno civico, perché altrimenti qualcuno se ne occupa per te e poi lamentarsi non serve a niente. Occorre semmai pensare e cercare di strade nuove da imboccare, che siano diverse da quelle sino ad ora battute, per trovare soluzioni ai problemi più difficili.