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02 giu 2016

Nulla si crea, nulla si distrugge...

di Luciano Caveri

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma»: questa affermazione è stata formulata, così come la conosciamo, da Antoine-Laurent de Lavoisier nel 1789, che riprese a sua volta su basi più scientifiche che filosofiche un concetto espresso già nel quinto secolo a.C. da Anassagora, ma pure da Empedocle con il suo «nulla nasce e nulla muore». Ricordo ai tempi del Liceo, con il mio amico Paolo Valente, quando illustrammo al nostro professore di Filosofia e ai compagni di classe una complessa cosmogonia, a posteriori piuttosto strampalata, sulla scia di questa idea che tutto resti, trasformandosi. A cavallo con la Fisica ci pareva interessante, nel nostro delirio, Albert Einstein con la sua famosa formula E=mc², che stentavamo a capire fino in fondo.

Oggi ho capito come abbia, fra l'altro, consentito di esplorare sempre di più la materia (e l'energia) nei suoi elementi più piccoli e profondi. In contemporanea, a proposito di piccolezza e ricerche di cui un tempo si capiva poco, la scienza stia scavando nei misteri della genetica e dunque della vita e del suo perpetrarsi dopo la morte. Roba complessa, che mi turba e di cui colgo l'importanza ma le cui applicazioni future mettono pure qualche brivido. Quel che è certo è che, se ci aggiungiamo la Storia, il mix che ne emerge è che queste logiche valgono per qualunque tipo di attività umana. Mettetevi al centro di piazza Chanoux di Aosta e azionate la vostra fantasia e si verificherà come nello stesso luogo fisico siano nate e morte e esperienze e realizzazioni diversissime fra loro: dai più antichi abitatori della Valle ai Romani, dalle costruzioni medioevali ad una chiesa tirata giù per fare il municipio e infine a una piazza, che ha visto occasioni diverse dall'Unità d'Italia al fascismo, dalla Liberazione all'uso ludico attuale. Idem castelli - pensiamo al Forte di Bard - severa macchina militare, nata su di una montagnola già abitata nella preistoria, costruita e ricostruita come presidio bellico ed oggi pacifica costruzione a scopo culturale. Immaginiamo, per restare in zona, il Ponte romano di Pont-Saint-Martin, straordinaria costruzione lungo la strada delle Gallie, sfuggita ad un bombardamento alleato nella Seconda guerra mondiale ed oggi elemento ornamentale del paese e teatro di esibizioni carnevalesche con il diavolo - ingannato da San Martino nella celebre leggenda - appeso sotto la campata. O prendiamo una montagna qualunque - che so il Cervino - e seguiamo stupefatti la sua storia di blocco roccioso spostato dai movimenti tettonici, fino ad ergersi verticalmente, diventando un simbolo della montagna e dell'alpinismo. Potrei proseguire con tanti altri esempi, ma quel che vale è che questo susseguirsi febbrile, sovrapporsi, mutare, vivere e poi morire, rinascendo diversamente - in un flusso nel quale non esiste una logica preordinata ma gli eventi avanzano caotici e susseguenti - vale anche per le Istituzioni politiche. Del periodo più profondo sappiamo poco per l'oscurità dei messaggi che ci arrivano da manufatti e ritrovamenti, poi piano piano la luce - come con azionando un reostato - diventa sempre più forte e dunque siamo in grado di capire sempre di più e meglio. Quel che risulta evidente è che - con "stop and go", in un autentico saliscendi - ci sono dei cicli storici, in un flusso più ampio di cui facciamo parte, che plasmano il modo di essere e di organizzarsi della comunità valdostana e ci sono, lenti o veloci che siano, dei "punto a capo" cui non si sfugge. Ebbene, dovessi dire penso che - rispetto all'attuale ordinamento autonomistico che ha attraversato due secoli a cavallo di due millenni - siamo giunti a un momento di cambiamento e chi non lo coglie rischia di trovarsi impreparato ai possibili eventi, che andrebbero quantomeno valutati a tavolino per non sbagliare il da farsi. Visto che, oltretutto, non esiste, al momento, un reale diritto all'autodeterminazione dei valdostani, ammesso poi che ci sia una maggioranza interessata a non farsi trascinare dagli eventi, come se nulla fosse. Le Riforme renziane (e uso la maiuscola obtorto collo) sono da questo punto di vista e nella loro sostanza, malgrado la clausola dell'intesa per i futuri Statuti delle Speciali, un segnale chiaro: chi non se ne accorge in buona fede e approverà una Costruzione stravolta o chi farà delle scelte opportunistiche e tattiche per il referendum di ottobre si troverà nella triste situazione di scrivere pagine di storia che potrebbero rivelarsi piuttosto oscure per i destini istituzionali della Valle d'Aosta.