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05 gen 2016

Il ponte delle spie

di Luciano Caveri

Quando si invecchia, la tendenza a mitizzare il passato è del tutto naturale. Si usa spesso l'espressione latina "laudator temporis acti" ("lodatore del tempo passato"), dovuta ad Orazio ("Ars poetica", 173), che considera il fenomeno uno dei tanti malanni dell'età senile. La frase originale è per essere precisi «laudator temporis acti se puero» («lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo»), che riporta ad una sfera umana, cui noi spesso diamo un significato più politico, segnalando come il tempo che passa rende le persone più conservatrici e tradizionaliste e meno pronte per questo ad accogliere le novità. Mi veniva in mente, guardando - inchiodato sulla poltrona del cinema - "Il Ponte delle spie", l'ultimo film di Steven Spielberg.

La pellicola ci riporta al 1960, in piena "Guerra fredda", e racconta la storia del primo scambio di prigionieri fra americani e russi, seguendo i tentativi dell'avvocato di Brooklyn James Donovan, interpretato da un Tom Hanks magistrale, di negoziare il rilascio di un pilota statunitense, Francis Gary Powers, abbattuto nei cieli dell'Unione Sovietica, mentre pilotava per spionaggio fotografico un aereo spia "U2", e dello studente americano Frederic Pryor, arrestato dai tedeschi dell'Est, in cambio del colonnello Rudolf Ivanovich Abel, spia russa a New York. Con un racconto dettagliato ma asciutto e senza fronzoli (ho letto che qualcuno lo definisce "didascalico", perché si vede che ama - a differenza mia - un cinema più di commenti che di avvenimenti), Spielberg, con un finale in crescendo che commuove e fa pensare, si occupa di quel periodo in cui Berlino, con la costruzione del celebre e crudele muro, abbattuto solo nel 1989, diventa un crocevia di spie in quello scontro fra USA e URSS che ha segnato il secondo dopoguerra. Il ponte delle spie di Berlino, che unisce la zona est e quella ovest, non è altro che il Ponte di Glienicke, un ponte di ferro verde sul fiume "Havel" fra Potsdam e Berlino, che fu adoperato per diversi scambi di spie catturate dagli uni e dagli altri. Oggi è, per la bellezza naturalistica della zona, meta di gite fuori porta dei berlinesi e non ha più nulla delle atmosfere cupe e pure drammatiche del "legal spy movie" di Spielberg, che si conferma un regista - come dimostra la parte impegnata della sua filmografia - attento al sociale contro il razzismo e la discriminazione e alla Storia, come le vicende della "Shoah" sino all'ultimo film sul Presidente americano Abramo Lincoln. Dicevo all'inizio del rischio di guardare con nostalgia all'infanzia quando si invecchia. E' normale che avvenga, ma il film di Spielberg si riferisce proprio agli anni della mia nascita ed a quel clima storico, per nulla da rimpiangere, visto il rischio incombente - che oggi sappiamo bene che è stato diverse volte più vicino di quanto si potesse pensare - di una prima bomba atomica che creasse un effetto domino da Olocausto nucleare come finale. Per cui, purtroppo, la tensione e gli orrori di oggi (mi riferisco al clima di paura degli attentati islamisti che in queste ore è al calor bianco) sono solo una variante di paure che questa nostra umanità dimostra di saper rinnovare con un uso spaventoso della nostra intelligenza. E' straordinario il profilo che Spielberg traccia, pur con qualche artificio retorico, dell'avvocato americano che difende la spia russa, appellandosi ai valori costituzionali e alla forza del Diritto, diventando poi negoziatore dello scambio. Ciò dimostra per fortuna che ci sono persone che anche nei momenti difficili dimostrano coraggio e coerenza (chi vedrà il film sentirà l'espressione russa «uomini tutti di un pezzo»). Nel Paese dei cinepanettoni questo film è, per il suo messaggio di speranza, ben più natalizio di chi interpreta la realtà come un eterno passatempo a colpi di battute, parolacce e tutto l'armamentario dell'avanspettacolo. Capisco che si tratta di svago bonario e dunque non faccio il barbottone, ma certo la differenza - allo stesso prezzo del biglietto d'ingresso - è abissale.