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27 set 2015

Astensionismo e fanghiglia

di Luciano Caveri

Questo periodo della mia vita è un gioco interessante, almeno dal punto di vista - diciamo così, anche se è impegnativo - "intellettuale". Nel senso che sono dentro e fuori dalla politica. Dentro perché, pur non avendo incarichi elettivi, sono imbevuto da anni e anni di attività politica attiva, che mi consentono una conoscenza approfondita dei meccanismi e dunque so bene che cosa ci sia dentro la "cittadella della politica". Dall'altra, in realtà, ne sono abbastanza fuori da poter avere una visione diversa da chi ne è completamente avvolto e questo forse consente una maggior lucidità di giudizio. Mi pare, da questo punto di vista, che la crisi della politica resti un elemento acuto, che si riverbera sulla costruzione istituzionale, che è fatta da quelli che vanno considerati i capisaldi della democrazia.

Il "caso Tsipras" è da questo punto di vista l'ultima dimostrazione: il leader greco, incendiario su posizioni radicali, ha dovuto negoziare con l'Europa un accordo nel solco della moderazione. Questo gli ha consentito di vincere le elezioni, ma ha annacquato la partecipazione popolare e così quasi la metà dell'elettorato non è andato alle urne. Per altro tutto fa pensare che si continuerà con un'alleanza politica fra la Sinistra radicale e i nazionalisti greci, che consente di tenere assieme i cocci. Trovo che questa tendenza che si accentua di rendere indistinguibili le posizioni politiche, con un gran "minestrone" fra maggioranza e opposizione, sia qualcosa che inquina e talvolta avvelena profondamente i pozzi d'acqua della politica e si riverbera su di una sfiducia sempre più crescente verso la democrazia rappresentativa. La logica da "compromesso storico" o, se preferite, da "große koalition" nasce sempre, nelle intenzioni e ancor di più nelle dichiarazioni, con nobili intenti. Nel caso più recente si tratta di mettere assieme le forze di un Paese per contrastare la crisi o, come fanno in Italia quelli del Nuovo Centro Destra e i "verdiniani" già "berlusconiani", per fare da stampella al Partito Democratico, anzi al "Partito Renziano", per giustificare una stagione di riforme, molte delle quali - compresa quella costituzionale - accentuano il disegno centralista con venature autoritarie, di cui vedremo sempre più i frutti. Nel nostro piccolo, è lo stesso meccanismo che ha spinto il PD valdostano a saltare il fosso e a stringersi in un abbraccio (che si rivelerà letale) con l'UVR, l'"Union Valdôtaine di Rollandin". Dichiarazioni roboanti di una nuova stagione politica, che è invece la stessa, identica, che c'era prima. Così cresce la confusione e parte della classe politica, tutta presa da questa fregola compromissoria, finisce sempre più per dare ragione a chi dall'esterno coltiva da tempo l'impressione - che ho sempre contestato - di una specie di fanghiglia in cui chiunque faccia politica si rotoli e alla fine si è tutti sporchi uguali o quantomeno distanti dai problemi reali. C'è chi replica che le ideologie sono morte e dunque affrontare i problemi, senza più logiche di schieramento, è solo più prendere atto della realtà e l'abbattimento di antichi steccati sarebbe il segno tangibile di una democrazia in fase evolutiva. A me che le cose da fare non abbiano colore e valori di fondo - che non sono gli stessi per tutti - non convince molto, anche se ho sempre pensato che il pragmatismo faccia bene e che sulle questioni e sui fatti bisogna evitare di fare delle guerre ideologiche e certo la politica ruota attorno alla sacrosanta necessità di tessere alleanze. Ma questo non significa affatto essere indistinguibili, perché a quel punto - e penso che sia una delle ragioni dell’astensionismo - a cosa diavolo può servire il mio voto se l'indomani trionfa "la logica dell'inciucio"? L'Autonomia valdostana ormai è la stessa per tutti oppure c'è chi la vede in un modo e chi in un altro? Tutto ciò preoccupa, laddove - a differenza di grandi democrazie, che hanno solidi anticorpi - ci si trova sempre in situazioni borderline, come in Italia, dove incombono malaffare e criminalità organizzata e dove lo Stato ed il sistema autonomistico sembrano non avere ancora quella solidità che consente di stare tranquilli. Esiste sempre, insomma, come un peso storico, attenuato forze dall'appartenenza all'Unione europea che sarà piena di mille scocciature ma è una polizza sulla vita democratica, che si concretizza nel rischio - visibilissimo nella riforma costituzionale in atto - di creare strumenti che prima o poi qualcuno potrebbe usare per una svolta autoritaria su cui in molti sorridono, ritenendola impossibile, quando invece certi spettri usciti dalla porta possono tranquillamente rientrare dalla finestra. Per cui è bene vigilare e chiedere chiarezza su quegli equilibri di potere, pesi e contrappesi, che sono indispensabili per evitare che i cittadini se ne vadano dalla partecipazione, certo dal voto ma anche dalla politica, per la sgradevole impressione che gli "uni" valgano gli "altri" e che, nelle segrete stanze, le pacche sulle spalle e i sorrisi siano il segno del rinnovamento fasullo della politica.