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15 set 2015

I confini sul Monte Bianco

di Luciano Caveri

Fa piacere che mi venga riconosciuto, nel calor bianco della polemica sui confini del Monte Bianco, come sulla questione ci si stata una mia solitaria azione politica, quando sono stato parlamentare. Premesso che a suo tempo mi riferivo alla cima del Monte Bianco e non alla zona del "Rifugio Torino" (ma certo un accordo complessivo sul massiccio andrebbe fatto, come è avvenuto per il Monte Rosa tra Italia e Svizzera a seguito dei cambiamenti derivanti dal riscaldamento climatico in atto), non vorrei che alla fine si equivocasse sulla mia posizione. Per me come federalista valdostano la frontiera è un'accidente (qualcuno dice ferita) della Storia. Con i savoiardi l'affinità è nei fatti e all'appartenenza alla stessa stirpe alpina si sommano millenni di interscambi e secoli di appartenenza alle stesse istituzioni di Casa Savoia. Eravamo assieme anche quando nacque l'alpinismo sul tetto d'Europa.

Dico Europa - per non fare arrabbiare Giancarlo Borluzzi e Luciano Ratto - precisando che mi riferisco all'Europa politica, visto che una parte di Russia con il Monte Elbrus (5.642 metri) lo è geograficamente, ma mai come in questo momento - ciò vale anche per le altre vette caucasiche che oltrepassano i 4810 metri del Monte Bianco - è distante dal processo d'integrazione europea. Ricordo quando Silvio Berlusconi da premier annunciò come la Russia dovesse entrare nell'Unione europea e la ribellione rabbiosa dei membri fictif che nel Parlamento a Strasburgo simulavano la loro presenza come Paesi dell'allargamento dell'Est e del Centro Europa. Quando Giovanni Paolo II parlò nel 1986 dal Mont Chétif come della montagna più alta d'Europa lo fece scientemente da europeista ma anche da polacco, che preparava una parte del lavoro che portò nel 1989 alla caduta del "Muro di Berlino". Torno al punto. Come europeista per me le frontiere non ci sono più ed è vero sia sotto il profilo doganale che della libertà di movimento fra Italia (precisando sulla linea del Monte Bianco Valle d'Aosta - Vallée d'Aoste come si legge all'articolo 116 in Costituzione) e Francia. Segnalo a questo proposito come ci sia chiarezza in molte materie, come i controlli di polizia di Schengen, l'operatività dei rispettivi sistemi di soccorso in montagna, collaborazioni in tema di protezione civile in primis sotto il tunnel del Bianco. Per questo non vedo difficoltà a definire a livello di Prefetture (per la Valle d'Aosta la Regione, viste le funzioni prefettizie del presidente della Regione) regole certe per la sicurezza in cima alla funivia del Monte Bianco in partenza da Courmayeur e lungo tutta la zona afferente i rispettivi percorsi funiviari, "Liaison" (Funivia dei Ghiacciai) compresa. Conta la sostanza e la reciproca buona volontà di informare certi utenti d'alta quota, specie quelli imbranati che sbarcano sui ghiacciai, per evitare incidenti, piuttosto che soffermarsi sulla forma o dare la stura di permalosità. Ma, ciò detto, in ossequio proprio ai vecchi Trattati legati nella versione in vigore all'annessione della Savoia alla Francia nel 1860, è comunque ingiusto che non ci sia chiarezza e che la Francia sulla cima abbia tracciato un confine incoerente rispetto alla realtà. A questo devono pensarci i Governi, che quando me ne occupai aprirono e chiusero il dossier, restando incredibilmente sulle posizioni divergenti. Dovrebbe essere Bruxelles - e le vituperate autorità comunitarie - a fare una ramanzina al gioco degli ambasciatori e dei cartografi militari che puzzano di un passato che non c'è più. Così come mi fanno inorridire certe polemiche dei giornali italiani sul tema confini, con insulti e stupidità, tipo l'"invidia" dei francesi per il nuovo impianto sul nostro versante. Prima di raggiungere i numeri di Chamonix bisognerà lavorare sodo e magari in silenzio. Anche qualche autorità valdostana, oltre ad assumersi di più le sue responsabilità, dovrebbe fare qualche corso di buona educazione. Basta talvolta, anche quando si ritiene che altri siano in torto, una telefonata o un buon caffè assieme per chiarirsi le idee prima di parlare e di scrivere. Perché la storia ha dimostrato, con le diverse esperienze di cooperazione transfrontaliera, che la diplomazia di prossimità, oltreché la collaborazione politica cementata dai problemi comuni, possono consentire la soluzione di questioni complesse con la giusta misura e armonia. Chiedere solo l'aiuto del Governo nazionale "amico" (Matteo Renzi tuttofare), nel deserto attuale di un lavoro di buon vicinato, è come voler rinnegare anni di storia, in nome di un centralismo che non ha mai portato bene alla Valle. Quando la Baviera è stata in difficoltà con i migranti, il primo interlocutore naturale è stato il sudtirolese Arno Kompatscher. Capito?