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27 mag 2015

Un calcio al Calcio

di Luciano Caveri

Sul calcio tutti si indignano e si fanno minacciosi verso la situazione attuale ed urli e strepiti impressionano, ma certi animali feroci temo che, alla prova dei fatti, siano mansueti come dei peluche. Evidentemente sino a ieri alcuni di questi dovevano avere gli occhi ricoperti di "pelle di salame". Siamo, infatti, di fronte all'ennesimo scandalo di cui la giustizia si fa carico, ma l'Italia è il Paese dell'oblio, in cui anche i peggiori ceffi tornano in pista prima o poi, come se fossero delle verginelle, contando sul fatto che il tempo non è affatto un galantuomo, ma serve per ottenere un condono, un'assoluzione, un perdono e via di questo passo. Chi è onesto e resta onesto ha il diritto di sentirsi un cretino ed ormai la circostanza è leggibile persino in qualche sentenza di Tribunale. Ciò detto, il calcio va preso sul serio, perché - nel caso italiano – sembra riflettere qualche cosa di molto profondo. Aveva ragione quel rabdomante della società italiana che fu Pier Paolo Pasolini, che così provocava: «Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E' rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro».

Pasolini non poteva sapere lo sviluppo della televisione e l'impatto enorme che avrebbe ulteriormente alimentato la macchina del calcio. La televisione (con Enzo Jannacci "La televisiùn") è un amplificatore di emozioni ed uno specchio che può distorcere la realtà. Così come non poteva immaginare la terribile saldatura fra il calcio ed il mondo delle scommesse grazie ad uno Stato biscazziere, che ha liberalizzato ogni gioco possibile ed immaginabile, rendendo le nuove "Calciopoli" sempre più putride. Un giorno verrà, spiace fare il profeta da due soldi, in cui questa questione dei giochi apparirà nella sua tragica capacità di avere occupato spazi politici borderline rispetto al malaffare. Sono fra quelli che si è allontanato dalla tifoseria calcistica, perché non mi piace una ambiente nel quale i bilanci delle società sono in rosso profondo e poi pagano ingaggi per i calciatori da fuori di testa. Non mi piace la violenza e la politicizzazione delle tifoserie e neppure i mercanteggiamenti per i diritti televisivi che alterano le regole di concorrenza. Mi sento tradito. Come tutti ho amato il calcio sulle figurine della "Panini" e nel campo di calcio dell'oratorio e del mio paese, pur essendo una schiappa. E ora vedo che il movimento calcistico è un marciume che tritura senza pietà ogni passione. Ricordo Giuanìn Brera, cantore padano del Calcio: «Può anche succedere che una partita venga dilatata a saga, a poema epico. Non ti formalizzare. Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso, non compatito. E va magari invidiato, non deriso». Immagino, con la sua potenza omerica, che cosa direbbe delle miserie dei vertici del calcio italiana con presidenti di club che sono delle macchiette da commedia all'italiana, personaggi resi ancora più grotteschi nelle mani di Maurizio Crozza, che fa ridere, ma alla fine verrebbe voglia di piangere. Di piangere su di un Paese che riesce a rovinare anche la passione per lo sport nazionalpopolare intriso di corruzione e diventato, alla fine, buono per alimentare le macchine mangiasoldi dei "grandi eventi" con gli appetiti per appalti di opere pubbliche e servizi vari. Sempre con le solite facce, che sono sorridenti, ma dovrebbero essere patibolari, come nei manifesti con scritto "wanted" nel Far West.