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25 mag 2015

#labuonascuola, riforma senza confronto

di Luciano Caveri

Ormai si governa lanciando slogan con gli "hashtag" ("hash" sarebbe "#", mentre "tag" sta per "marcatore"), che sono, per chi non lo sapesse, quella parola o frase preceduta dal simbolo "#", utilizzabile come chiave di ricerca all'inizio in "Twitter" e poi nei principali "social network" per trovare testi che trattino l'argomento contrassegnato dalla definizione identificatrice. Matteo Renzi e lo staff che cura la sua comunicazione e la sua immagine sono maestri della materia (lo si è visto dall'allestimento del palco nel recente comizio di Aosta del Premier) e così dallo slogan onnicomprensivo e ossessivo "#lavoltabuona" hanno traslato quel "#labuonascuola", che è diventato e sarà argomento da prima pagina per le proteste per la legge in approvazione in Parlamento. Che è poi in prevalenza una legge delega, che consentirebbe il riordino della scuola in mano al Governo con il solito ruolo di comprimario del Parlamento, considerato da Renzi un vecchiume e una palla al piede.

Scrive il linguista Tullio De Mauro, che se ne intende di queste questioni: «Matteo Renzi pareva partito con buone intenzioni. La prima era ottima: aveva fatto capire che di scuola , del complesso della scuola, si sarebbe occupato in prima persona, quale capo del governo. Sembrava che avesse capito che così in effetti richiede la intricata complessità economica, amministrativa, culturale e politica della realtà scolastica di un grande Paese sviluppato. Così, di conseguenza, nei maggiori paesi del mondo le grandi svolte delle politiche scolastiche ed educative sono gestite direttamente dai Capi di Governo o di Stato. Così invece non è stato nella tradizione italiana, dove, a parte casi isolati come quello di Giovanni Giolitti e lampi di interesse di Romano Prodi ai tempi del "Prodi uno", si è creduto che le politiche scolastiche potessero esser lasciate ai ministri dell'istruzione. Questi però non hanno competenze e poteri rispetto a troppe facce del problema, a cominciare dai riassetti del bilancio dello Stato necessari se davvero si vuole intervenire sul complesso della realtà educativa. Sono riassetti che comportano decisioni che può e deve prendere solo chi guida l'intera compagine governativa, non un singolo ministro, a meno che non abbia una delega in bianco come (ma solo per due anni) fece Benito Mussolini con Giovanni Gentile». L'esito attuale è così sintetizzato: "Il risultato per ora è molto insoddisfacente". Lo si vede da reazioni le più varie, che non sono solo di stampo corporativo o difensivo. Dovessi dire la mia: la solita logica centralistica (certe particolarità della scuola valdostana rischiano lo smantellamento) e velleitaria con il preside - solo perde dirne una - investito di funzioni enormi e autoritarie, come se fossero il riflesso di un pensiero pernicioso "dell'uomo solo al comando". Aggiunge De Mauro: «Una seconda buona intenzione manifestata all'inizio è stata insistere sulla natura solo parziale degli interventi che annunziava: non chiamatela riforma, ebbe a dire il presidente, sono solo singoli provvedimenti più immediatamente necessari, la riforma la faremo, ma verrà dopo. Invece e però da un certo punto in poi la buona intenzione è svanita e in comunicazioni governative, nei mezzi di informazione e infine nel testo consegnato al Parlamento si è parlato di riforma, parola pesante che, a usarla correttamente, implica l'esistenza di un ripensamento adeguato e di una revisione radicale e complessiva di uno stato di cose. Le buone intenzioni del Capo del Governo, svaporando, hanno infine portato il 27 marzo al disegno di legge presentato al parlamento dai tre ministri di settore, Stefania Giannini, Marianna Madia e Pier Carlo Padoan. Le omissioni di cui si è detto qui sono pesanti. Se non saranno corrette prefigurano un tempo di dura lotta perché la nostra scuola continui a essere, secondo costituzione, la scuola della nostra repubblica». Ma il dialogo, come sempre, non c'è stato (ed il ministro competente, Stefania Giannini, apolide della politica, polemizza e insulta senza provar vergogna) e se è vero che la scuola non va e ne siamo tutti testimoni, certe deleghe in bianco - usando oltretutto i precari da stabilizzare come "cavallo di Troia" per fare in fretta - creano preoccupazione. Si giustifica la scelta con il solito efficientismo, contro la palude delle mancate scelte, questa volta come in altre recenti forzature che creano un "Renzi contro tutti", nel nome del consenso popolare che tutto permetterebbe. Ma lo permette davvero? O ha ragione Eugenio Scalfari, che ancora domenica scorsa nel suo editoriale annotava così tra "Italicum" e Senato senza poteri: «In questo modo si passa da una democrazia parlamentare ad una democrazia esecutiva, che è cosa del tutto diversa e sommamente pericolosa in un Paese come il nostro. Giuseppe Mazzini avrebbe deprecato. Giuseppe Garibaldi si sarebbe ribellato. Nicolò Machiavelli ne avrebbe avuto il cuore infranto. Francesco Guicciardini avrebbe avuto ragione. Il Paese è fatto così. Un governo autoritario gli piace. Renzi dovrà dunque combattere contro questo Paese che lo vuole al potere da solo purché si ricordi di chi gliel'ha regalato. Ce la farà a tenersi alla larga da questa po' po' di tentazione? Dovrebbe avere come esempio papa Francesco, ma personalmente ne dubito molto. E' uno scout e Maurizio Crozza lo descrive meglio di tutti».