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16 mag 2015

La Scozia riparte

di Luciano Caveri

Guardarsi attorno e non accontentarsi, in una logica autoreferenziale, della propria situazione istituzionale e politica. Accontentarsi vorrebbe dire illudersi di una Valle d'Aosta per sempre e comunque enclave rassicurante al riparo di cambiamenti repentini e pericolosi. Invece siamo in Italia, dove molti dei fautori del federalismo di cartapesta sono oggi centralisti allo stato puro ed è perciò palese il rischio che un'Autonomia "concessa" (octroyé) possa essere revocata dallo Stato, magari con l'uso strumentale del principio di eguaglianza. Meglio essere tutti pecore e sudditi obbedienti, che avere qualcuno che teneva accesa una fiammella federalista e dunque per definizione contraria ad uno Stato unico ed esclusivo depositario di qualunque forma di sovranità.

Questa politica di rete di amicizie e di scambi politici è un dovere per la piccola Valle d'Aosta, che se non saprà mantenere - oggi purtroppo siamo ai minimi storici dal dopoguerra ad oggi - dei saldi legami con realtà italiane ed europee dal regionalismo forte, talvolta al limitare dell'indipendentismo, resterà vittima di una solitudine pericolosa e sterile. Le alleanze e la solidarietà possono, invece, renderci più forti, specie in un'epoca storica in cui - come si vedrà tra poco tempo - c'è chi vuole distruggere il regionalismo, senza risparmiare le Autonomie speciali. Bisogna diffidare di promesse e lusinghe e mostrare la grinta necessaria, perché fare gli zerbini o i "lecchini" non porterà da nessuna parte. Ci pensavo rispetto alla grinta dimostrata dai nazionalisti scozzesi, dati per "bolliti" dopo la mancata conquista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna nel referendum del settembre 2014. La sconfitta dei "sì" alla secessione andò come è noto: 45 per cento dei favorevoli contro il 55 per cento dei "no". Quel flop, pur di misura, non è stata la tomba dell'indipendentismo e non ha spinto ad accordi al ribasso, ma i nazionalisti scozzesi sono riusciti a tener viva la fiamma contro chi gufava. A guidare la prima rivincita è stata la loro prima leader donna, la 44enne Nicola Sturgeon diventata "first minister" scozzese, che ha portato lo Scottish National Party (Snp) a sfondare con percentuali record nei collegi, conquistando 56 seggi nel Parlamento britannico sui 59 che erano in ballo per la Scozia. Prima, per capire la portata del successo, ne avevano solo sei! Questo enorme peso politico consentirà una strategia dalla doppia valenza. La prima è pretendere dai conservatori di David Cameron - che hanno ottenuto una maggioranza schiacciante - quella nuova devolution di poteri che lo stesso governo centrale britannico aveva promesso alla Scozia se avesse deciso di restare "fedele" all'unione, votando "no" al referendum del settembre 2014. "Pacta sunt servanda" e con un peso parlamentare così imponente nessuno potrà fare lo gnorri. Ma ovviamente, specie se le promesse tarderanno a venire o la devolution ulteriore sarà deludente, ripartirà la spinta indipendentista. Oltretutto Cameron spingerà proprio con referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, mentre gli scozzesi sono storicamente europeisti e dovranno far valere con Bruxelles anche questa loro diversità. Sarebbe ora che nelle istituzioni comunitarie, ventre a terra otto mesi fa contro i favorevoli al referendum scozzese, si capisse che aiutare la Scozia significa difendere l'integrazione europea e ci sono nazionalità non riconducibili agli attuali Stati membri. Insomma: bisogna guardare a certe esperienze in corso, smettendola con certa politica che considera i diritti dei valdostani da difendere accarezzando dal lato giusto il pelo dei potenti di turno. L'interlocuzione politica ed il dialogo sono cosa diversa da accettare che i propri diritti diventino merce di scambio o siano spacciati per un piacere che ti viene fatto dall'amico di turno. Questo è l'"abc" dell'autonomismo, perché la dignità è la precondizione per risultare credibili e potersi guardare allo specchio senza arrossire.