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22 mar 2015

Corrotti e corruzione

di Luciano Caveri

Papa Francesco, non a caso in una manifestazione celebrativa della "Confcooperative" e riferendosi evidentemente alle speculazioni su settori umanitari e sociali da parte della "Mafia Capitale", così si è espresso qualche giorno fa: «Diceva Basilio di Cesarea, Padre della Chiesa del IV secolo, ripreso poi da san Francesco d'Assisi, che "il denaro è lo sterco del diavolo". Lo ripete ora anche il Papa: "il denaro è lo sterco del diavolo"! Quando il denaro diventa un idolo, comanda le scelte dell'uomo. E allora rovina l'uomo e lo condanna. Lo rende un servo. Il denaro a servizio della vita può essere gestito nel modo giusto dalla cooperativa, se però è una cooperativa autentica, vera, dove non comanda il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale».

Già un anno fa, di fronte a quasi cinquecento parlamentari italiani, il Pontefice non era stato reticente sul punto, in un momento nel quale si discuteva molto di fenomeni corruttivi - che oggi si scoprono essere stati reiterati - attorno all'Expo 2015, ricordando come che al tempo di Gesù ci fosse stata una classe dirigente che si era allontanata dal popolo,facendosi assorbire dalla corruzione. «Il cuore di questa gente, di questo gruppetto - disse il Papa - con il tempo si era indurito tanto che era impossibile sentire la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. E' tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore, sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti». Ma naturalmente questo non vale solo per i credenti, perché la corruzione mina lo Stato di Diritto e viola quei principi costituzionali su cui si fonda, dal punto di vista giuridico, la civile convivenza. Pensate a come era profetico il titolo del celebre reportage di Manlio Cancogni nel 1955 su "L'Espresso" su scandali vari a Roma con il titolo "Capitale corrotta = Nazione infetta", che fece scalpore. Ebbene, sessant'anni dopo, certe vicende tornano come se ci fosse una sorta di maledizione. "Corrómpere" viene dal latino "corrŭmpĕre - 'guastare, danneggiare, falsificare". Tornando al Papa vuol dire soprattutto "convincere col denaro". Oggi, giustamente, si invocano inasprimenti delle pene e procedure che consentano di scoprire le schifezze specie attorno agli appalti e il nodo delicato - come si vede dall'ultima vicenda - sono le revisioni dei prezzi, che fanno salire a dismisura i costi. L'espulsione dal sistema dei politici e dei funzionari corrotti è una condizione indispensabile e dovrebbe esserlo non solo a colpi di codice penale, ma nella percezione dell'elettorato che chi ruba non ha attenuanti. Non esiste, a tutela della democrazia e dei suoi meccanismi, nessuna formula accettabile di pentimento e va aborrita quella parte di opinione pubblica - spero sempre minoritaria - che considera corrotto e corruttore come un accidente con cui convivere perché è la natura umana, per non dire di chi simpatizza persino con i "furbi". Scriveva nel 1982 Leonardo Sciascia, aggiungendo un argomento non da poco, «e direi che il dato più probante e preoccupante della corruzione italiana non tanto risieda nel fatto che si rubi nella cosa pubblica e privata, quanto nel fatto che si rubi senza l'intelligenza del fare e che persone di assoluta mediocrità si trovino al vertice di pubbliche e private imprese. In queste persone, la mediocrità si accompagna ad un elemento maniacale, di follia, che nel favore della fortuna non appare se non per qualche innocuo segno, ma che alle prime difficoltà comincia a manifestarsi e a crescere fino a travolgerli. Si può dire di loro quel che D'Annunzio diceva di Marinetti: che sono dei cretini con qualche lampo di imbecillità: solo che nel contesto in cui agiscono l'imbecillità appare - e in un certo senso e fino a un certo punto è - fantasia. In una società ben ordinata non sarebbero andati molto al di là della qualifica e mansione di "impiegati d'ordine"; in una società in fermento, in trasformazione, sarebbero stati subito emarginati - non resistendo alla competizione con gli intelligenti - come poveri "cavalieri d'industria"; in una società non società arrivano ai vertici e ci stanno fin tanto che il contesto stesso che li ha prodotti non li ringoia». Insomma, alla corruzione (con la sua mamma, l'affarismo in politica) troppo spesso si accompagna alla mediocrità.