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21 mar 2015

La battaglia fra Tosi e Zaia (e Salvini)

di Luciano Caveri

Nelle dinamiche storiche della Lega Nord, c'è sempre stata, come un rumore di fondo, qualche scintilla fra lombardi e veneti. Sono stato molte volte a convegni in Veneto e questa rivalità a distanza era del tutto evidente e esisteva anche in Parlamento fra battute e interessi divergenti. Si rimproverava a Milano di avere una tendenza egemonica che i "venetisti" (figurarsi i "veneziani"...) non hanno mai digerito. Ma poi, a dir la verità, fatte salve fronde e scissioni, un modo di vivere si è sempre trovato nei momenti di crescita e in quelli di crisi. Ed è indubbio che quello attuale, dopo il baratro delle vicende giudiziarie dei finanziamenti pubblici ad uso privato che saranno oggetto a breve di processo, è un momento di vento in poppa, sondaggi alla mano. Anche per questo il "caso veneto" diventa interessante a poche settimane dalle elezioni regionali.

In questo senso, questa volta in Veneto la polemica è tutta "veneto-veneta": da una parte il sindaco di Verona, Flavio Tosi, che da tempo ambiva persino ad una leadership nazionale del centrodestra e dall'altra quel Luca Zaia, presidente del Veneto uscente. I due sono grossomodo coetanei e il loro percorso politico non è molto dissimile. Segnalo per inciso che entrambi non hanno mai amato le vicine autonomie speciali, le Province autonome di Trento e Bolzano e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nel solco dell'ovvio paradosso leghista, che spesso ha predicato la fine della specialità al posto di chiedere un'elevazione di tutti nel nome del federalismo. Quel federalismo che, nei molti anni di Governo nazionale, ha finito per essere più proclamato che percorso davvero e ormai è difficile da far convivere con una svolta lepenista, che è per natura nazionalista. Ma tornando alla querelle fra i due big veneti, è probabile che negli scorsi anni una sorta di spartizione, a Zaia il potere in Regione, mentre a Tosi la "Liga Veneta", non abbia alla fine funzionato. Lo scontro personale peserà sull'esito del voto e potrebbe avvantaggiare la debole candidatura del Partito Democratico di Alessandra Moretti. Quel che è certo è che Matteo Salvini, oggi leader solido che è salito partendo dal basso, è l'altro rivale, forse quello vero, di Tosi. L'aspetto curioso è che in realtà entrambi condividono la sterzata leghista verso l'estrema destra, di cui in sostanza il sindaco veronese è stato antesignano. Paolo Fantauzzi su "L'Espresso" di tre anni fa così testimoniava delle alleanze del candidato sindaco di Verona: "Nella "Civica", che il sindaco ha definito «il caposaldo della mia coalizione», c'è infatti di tutto: fascisti pentiti e non, vecchi arnesi missini, nomi storici della destra sociale, movimentisti di "Casapound" (fra cui il responsabile cittadino), ex skinhead. L'alfiere del federalismo a braccetto con l'ipernazionalismo dei nostalgici del Duce: un'alleanza che ha fatto di Verona un laboratorio nero-verde di "destra ampia", fondata su identitarismo e xenofobia". La svolta di Salvini è invece più recente e si è concretizzata con l'asse per le Europee con Marine Le Pen (e con "Casapound") e poi con la condivisione del Gruppo a Strasburgo con il "Front National". Auspice dell'intesa, ormai radicata, il piemontese Mario Borghezio. La recente manifestazione antigovernativa di Roma sancisce una linea solida e del tutto parallela a quella di Tosi. Ma questo non eviterà lo scontro in Veneto attorno alla riconferma o meno di Zaia. E sarà una battaglia campale senza esclusione di colpi.