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05 mar 2015

Ferrari e la sua Emilia

di Luciano Caveri

In questi giorni, per una gita con i miei figli più grandi che ci tenevano a stare un po' «con il loro vecchio papà» (queste sono richieste che inteneriscono!), ho scelto di approfondire la mia (e la loro) conoscenza di tre città emiliane, dove sinora ero stato - classico del "mordi e fuggi" di chi c'era andato per impegni politici - senza troppo scoprire. Mi riferisco a Modena, Reggio Emilia (ad essere esatto: Reggio nell'Emilia) e Parma, che ho verificato essere piene di sorprese, corrispondenti per altro alla gioiosa vitalità di un popolo che ho sempre ammirato. Trovo che certi itinerari siano utili e interessanti per capire meglio quella profonda Provincia italiana, ricca di Storia, che dimostra anche come il modello istituzionale centralista in Italia - oggi tornato in gran voga - sia una stupidaggine, che non ha mai portato e mai porterà da nessuna parte. Che lo si debba far capire a un fiorentino, come Matteo Renzi - con il suo "giro" ex "Anci" (l'Associazione dei Comuni italiani) oggi al potere a Roma - lascia stupiti, perché dovrebbe essere lui (e loro) a dire a tutti della profondità di certe radici delle autonomie locali, che non sono folklore o campanilismo da "asfaltare"! Potevo, lì in giro, non andare sino a Maranello, luogo cult dell'Automobilismo, accolto dal rombare di una macchina da corsa nella pista adiacente alla fabbrica?

«Non ho mai avuto una particolare predisposizione per i motori, però Ferrari mi ha costantemente affascinato. L'ho sempre visto come un eroe del West: solitario, scontroso, difficile, ma ricco di umanità». Così diceva di Enzo Ferrari il suo corregionale Enzo Biagi e mi riconosco nel pensiero e nell'ammirazione. Ci pensavo guardando, in un angolo del "Museo Ferrari", stipato di auto e di trofei, una vetrata in cui si vede, all'interno, una scrivania old style di quello che veniva chiamato "Drake", come il famoso corsaro inglese, per la sua grinta. Nato nel 1898, Enzo Ferrari morì nel 1988, avendo il raro privilegio di attraversare gli anni d'oro dello sviluppo e dell'affermazione della motorizzazione di massa. Con il curioso destino di occupare il settore d'alta gamma e del gotha dell'automobilismo da competizione con la "rossa" (colore assegnato nelle competizione all'Italia sin dagli anni Venti). Con un simbolo originale: il "Cavallino rampante", "ereditato" dal simbolo dell'aereo di quell'altro grande emiliano che fu il pilota aereo Francesco Baracca (mio nonno Emilio, che era al fronte nella Prima Guerra mondiale, mi raccontava spesso della morte "misteriosa" avvenuta nel 1918). Vedere dal vivo tanti gioielli della Ferrari colpisce molto e conferma quanto di geniale ci sia stato nel tempo per affermare marchio e gioielli della tecnologia. In una piccola sala di proiezione si vede come nella cinematografia mondiale l'auto élitaria e di classe per eccellenza sia stata e sia ancor oggi la Ferrari. Mi veniva male quando, mesi fa, si vociferava di balzani piani di internazionalizzazione della Ferrari per mano del nuovo presidente, Sergio Marchionne (che in Ferrari raggiunge spesso il Cantone svizzero dove ha la residenza, anche fiscale..., attraverso il traforo del Gran San Bernardo). Poi certe "fughe" dall'Emilia e dall'Italia sono state smentite, altrimenti uno dei marchi del lusso "Made in Italy" sarebbe evaporato con un vero e proprio disastro di immagini in un Paese sempre più povero nel settore industriale. Ci vorrebbero "capitani coraggiosi" come Enzo Ferrari, che riuscì a valorizzare la sua gente e il suo paesino, dando loro una dimensione mondiale, senza mai dubitare di una propria identità per seguire logiche solo planetarie, che creano business apolidi su cui riflettere.