Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
19 gen 2015

Il destino incrociato di Pannella e Bonino

di Luciano Caveri

La politica è una passione che non sparisce - per fortuna e per buonsenso - perché non si ha una carica elettiva. Da ragazzo, quando iniziai a guardarmi attorno per fare delle scelte di schieramento politico, la scelta ce l'avevo in casa. La mia famiglia apparteneva, senza se e senza ma, all'area autonomista (quando questa area non era così densamente abitata) e lo zio Séverin era stato una bandiera dell'Union Valdôtaine, non solo perché era stato uno dei fondatori, ma ne era stato anima e leader per un trentennio. Ma non era solo un fatto di appartenenza "partitica", era l'aria che si respirava e penso a certe discussioni che ascoltavo fin da bambino e che ponevano la politica in un clima di vasto respiro culturale e di apertura mentale, direi piuttosto anticonformista, a dispetto di chi poteva pensare che una certa "bourgoisie" aostana dovessero essere legata ad uno stereotipo conservatore.

Così, con naturalezza, le prime riunioni politiche cui partecipai furono quelle con altri ragazzini della "Jeunesse Valdôtaine" per le votazioni della scuola, all'epoca dei nascenti decreti delegati alla metà degli anni Settanta, quando quelli "fighi" facevano parte del "Movimento studentesco", che ciclostilava i volantini al Partito Comunista Italiano o alla "Cgil". Se guardavo fuori dalla Valle mi piacevano i Radicali, che mi sembravano gli unici che avessero in testa di svecchiare la società con le loro battaglie per i diritti civili. Poi erano i soli che, nella politica italiana, parlavano di quel Federalismo che cominciavo a studiare per capirci qualcosa di più dei soliti slogan. Al Liceo ad Ivrea, "spaesato" rispetto alla politica valdostana, mi immersi ancora di più in questo interesse per la vivacità dei Radicali, il cui linguaggio e le cui azioni erano eversive rispetto alla politica italiana e soprattutto chiaramente non violente. Lo preciso perché in quegli anni molti - e anche dei miei amici - sprecarono le loro energie in certa Sinistra, che purtroppo flirtava con quell'area di Autonomia che aveva sposato la politica violenta in posizione borderline. Gli "anni di piombo" ruppero questo giocattolo e la stupidità di chi approcciò il terrorismo con logiche tipo "i compagni che sbagliano". Conobbi poi, entrato alla Camera nel 1987, questi famosi Radicali e partecipai a molte iniziative umanitarie del Partito Radicale transnazionale, cui mi iscrissi. Ho sempre ritenuto questa "finestra" assai utile, specie per quella loro visione mondialista, che evita ad un politico autonomista di compiacersi nella contemplazione del proprio mondo e del proprio ombelico. I due che ho conosciuto meglio sono stati Marco Pannella (la cui nonna era vallesana) ed Emma Bonino (nostra vicina piemontese). Li ho visti al lavoro in Parlamento e poi in Europa. Due complementari rulli compressori, geniali ed acuti. Una coppia sempre sull'orlo della crisi di nervi nel tenere in piedi quella gabbia di matti dei Radicali, oggi in crisi profonda per fenomeni crescenti di allontanamento dalla politica militante, per spazi occupati dal altri "movimentisti" e per non aver saputo far spazio ai giovani esponenti, bruciati a turno come dei cerini. Eppure nessuno nega a questi due bizzarri "testoni" la loro la preparazione ed il loro coraggio. Oggi - scherzo del Destino e temo del loro comune e ossessivo tabagismo - lottano entrambi contro un tumore. Lo hanno detto subito di essere malati e questa loro pubblica ammissione li nobilita, perché mostra come anche in questa occasione la grinta con cui affrontano la malattia esce dalla sfera privata e assume una valenza esemplare per chiunque sia malato, magari con qualche differenza, tipo un Pannella assai guascone che persiste con il fumo, mentre la Bonino ha messo le mani avanti per stoppare la candidatura al Quirinale. Trovo in particolare straordinaria e molto umana la dichiarazione di Emma, quando ha lanciato un appello ai malati come lei: «A tutti coloro che in Italia e altrove affrontano questa o altre prove voglio solamente dire che dobbiamo tutti sforzarci di essere persone e di voler vivere liberi fino alla fine, insomma io non sono il mio tumore e voi neppure siete la vostra malattia. Dobbiamo solamente pensare che siamo persone che affrontano una sfida che è capitata». Idealmente, Emma e Marco, vi abbraccio.