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01 dic 2014

Salvini studia da Le Pen

di Luciano Caveri

Lo spostamento a destra di Matteo Salvini, che ha avuto anche come elemento propedeutico la candidatura vincente nel centro Italia alle elezioni europee di Mario Borghezio in alleanza con "CasaPound", ha consentito alla Lega di poter dire alle elezioni regionali in Emilia-Romagna: «abbiamo vinto». In effetti ha raddoppiato i voti rispetto alle Europee, ma ha preso meno voti delle regionali del 2010, ma questa volta ha aumentato la sua percentuale a fronte del tanto discusso elevato tasso di astensionismo. Un virus, quello del "non voto", che può essere preso sotto gamba da chi nel breve ci guadagna, ma che apre baratri nelle democrazie meno mature, come quella italiana. C'è stato ovviamente, per la Lega, un "effetto traino" grazie al fatto che Forza Italia in Emilia-Romagna, scesa a livelli bassissimi nei consensi, aveva rinunciato al proprio candidato presidente in favore del leghista Alan Fabbri. Appare poi evidente che qualche iniezione di voti è arrivata dalla crisi profondissima dei "5 stelle" di Beppe Grillo. La scelta della nuova Lega, incredibilmente uscita indenne dal "dopo Bossi" e dagli scandali annessi e connessi, era già stata sancita dall'alleanza europea con il "Front National" di Marine Le Pen attraverso un Gruppo comune al Parlamento europeo. Naturalmente questa scelta verso la destra dal sapore neofascista è del tutto incompatibile con quelle origini federaliste che la Lega vantava, che fossero le radici più profonde derivanti negli anni Ottanta dal legame fra Umberto Bossi ed il valdostano Bruno Salvadori o la parte più colta del federalismo del decennio successivo del politologo Gianfranco Miglio. Salvini in sostanza ha studiato per diventare il "Le Pen" italiano, guardando più a Marine ed al suo tono mellifluo che al papà Jean-Marie, ormai fuori moda con le sue intemperanze verbali da ex parà. Per altro, come età, la leader dell'estrema destra francese non è distantissima dal lùmbard, visto che una è del 1968, mentre Matteo (nome cult della politica italiana...) è del 1973. Va detto con onestà che, nel caso italiano, pur con qualche differenza rispetto al modello francese, c'è uno spazio politico di una Destra che guardi alla destra estrema ma anche al Centro moderato, fatto di elettori spaventati da tante cose. Cavalcare le paure non è difficile: la vita è grama con la crisi, la disoccupazione è come un cappio che stringe, immigrazione "selvaggia" e campi rom sono un tema facile da cavalcare, così come incombe la criminalità piccola e grande. Il bisogno di Ordine e di Legge diventano slogan che piacciono e raccolgono favori in modo trasversale in una Politica ormai priva di riferimenti, come un terremoto dietro l'altro che abbatte ogni nuova costruzione. Una specie di prateria selvaggia in cui chi si comporta da pistolero del Far West, adoperando i temi populisti antichi come il mondo, raccoglie successi insperati. Stupisce che la Lega, che pure governa grandi Regioni come Lombardia e Veneto, riesca a giocare sul doppio registro: partito di lotta e di governo, come se nulla fosse. La psicologia delle folle, così cara alle dittature, oggi corre attraverso la Rete e amplifica anche i sentimenti peggiori. I "social" mostrano in questo una grande tolleranza (ho visto roba orrenda mai "bloccata") e l'assenza, di fatto, di limiti di buonsenso dà la stura al Male . Ci si può scandalizzare e scagliare verso chi manovra quella parte di opinione pubblica che si fa pilotare verso derive pericolose. Ma certi "pifferai magici" usano teorie rozze ma comprensibili, parlano più alla pancia che ai cervelli, semplificano in slogan questioni complesse, riempiono i vuoti della politica tradizionale ormai smarrita. La democrazia è una costruzione delicata, affidata allo strumento dimostratosi fallibile del suffragio universale, che può spingere l'elettore - se non fugge nell'astensionismo - a muoversi anche verso soluzioni estremistiche, quando certi urlatori sembrano offrire soluzioni pratiche contro l'immobilismo decisionale del "politicamente corretto". Chi la spara più grande e persino chi la racconta di più rischia di piacere. Per cui, alla fine, non si capisce bene dove stiano, nelle democrazie moderne, dei muri di contenimento che sappiano difendere libertà e diritti civili dai veleni che rischiano di ammorbare la convivenza sociale. E' un equilibrio difficile, ma se in una discesa pericolosa non ci sono i freni, i rischi sono enormi. Bisogna rifletterci anche in Valle d'Aosta, che fu - anche se la definizione non mi ha mai convinto - "isola felice".