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18 nov 2014

La voluttà del tartufo

di Luciano Caveri

L'altro giorno ero nella via principale di Alba, la Capitale storica delle Langhe. Una città più grande di Aosta come territorio, ma leggermente meno popolata, ma con un "air de famille", che viene dalla comune storia di occupazione romana (ma prima, come da noi, c'era una popolazione celto-ligure) e da certe similitudini medioevali. Mi piace, ogni tanto, qualche gita fuoriporta in queste cittadine piemontesi, ricche di storia e di cultura. Dei vicini di casa con i quali ci si ritrova volentieri. Percorrendo appunto la via "della passeggiata", via Vittorio Emanuele ma per gli autoctoni "via Maestra", si apprezza la ricchezza architettonica e la robustezza del tessuto commerciale. Spiccano in questa stagione nei negozi gastronomici o, in appositi banchetti espositivi con tanto di folkloristico venditore-ricercatore, come i preziosi nelle vetrine dei gioiellieri, i tartufi di tutte le taglie e conseguentemente di tutti i prezzi (che quest'anno sono "convenienti"). Io, ovviamente, non ho occhi che per quello "bianco di Alba", cui è dedicata, ancora in questo finesettimana, la 84esima "Fiera Internazionale". Perché il tartufo sia, ab origine, così terribilmente e amabilmente profumato è un segno ben noto della necessità di perpetuare la propria specie, attirando quegli animali, come cinghiali, volpi o ghiri, che - allettati dall'odore penetrante (in frigo va imprigionato in una "burnìa" con il riso, che poi potete cucinare e magari metteteci delle uova, perché a contatto si aromatizzano anch'esse) - trovano il fungo sottoterra e se lo mangiano. Poi, con le loro deiezioni, spargono le spore: potenza del mondo vegetale, che noi umani sottostimiamo, non comprendendo i sottili fili che ci tendono per imprigionarci, fatti di colori, forme e sapori. Noi pensiamo di "catturarli", mentre le prede siamo noi. Gli antichi pensavano, invece, come Giovenale, che il "tuber terrae" nascesse per via di un fulmine di Giove, noto tombeur de femmes, posizione nota che serviva anche a propagare la notizia che il tartufo avesse preziose qualità afrodisiache. Provare per credere. Per molto tempo i linguisti, nello studiare l'etimologia della parola, partivano dal tardo latino "terrae tufer", mentre oggi pare certo che la parola viene dalla somiglianza - notata in epoca medioevale - fra il tubero e il tufo, la ben nota pietra porosa, da cui la catalogazione naturalistica "terra tufule tubera". Da lì anche il piemontese "trifula" e il cercatore "trifulau" con il suo indispensabile cane da ricerca. Parola poi emigrata in Francia con "truffe" ed in Inghilterra con "truffle". Faccio notare, a proposito dei cani, che il naso dei cani viene chiamato "tartufo". Non mi si dica che è un caso... E' un mondo interessante quello del tartufo - e per un valdostano lo è per il naturale matrimonio con la fonduta di "Fontina" - di cui mi occupai, scrivendo una legge di tutela del prodotto e dei consumatori. Attorno al tartufo, mondo fiorente per via delle quotazioni, c'è come dappertutto un sottobosco inquietante, che gli onesti combattono, fatto di sofisticazioni ed uso spregiudicato persino di idrocarburi nocivi. Vale la regola darwiniana che ai truffatori corrispondono i fessi che ci cascano, per cui bisogna su certe questioni un po' indagare ed un po' rassegnarsi. Amo il tartufo, dunque. Anche per quella logica di parsimonia, visto il prezzo, che ti porta al momento in cui lo si affetta, con apposito strumento, a non perdere neppure una delle sfoglie che cadono sul piatto prescelto per la loro morte. Personalmente gusto il cadavere del fungo-tubero con grande piacere, così come viene proposto al "Grenier" di Saint-Vincent, dagli chef Stefano e Bruno Mazzotti. Un loro cliente svizzero aveva loro segnalato uova al tegamino (definite nel menu uova "alla busacca") un po' particolari, con il bianco montato a neve e naturalmente salato e con il rosso d'uovo cotto a parte e poi assemblato per il consumo e per godere della "spruzzata" di tartufo in una piccola cocotte. Trattasi di alimento divino, come intuito dai romani. Non a caso il celebre medico di origine greca, Galeno, scrisse: «il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà».