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18 nov 2014

Viticoltura e Terroir

di Luciano Caveri

Il mondo della viticoltura mi ha sempre affascinato, almeno per tre ragioni. La prima è facile: la Valle d'Aosta ha un rapporto millenario con la vite e per comodità ci si assesta sui romani, ma probabilmente si scoprirà che qualcosa c'era già prima. Dall'ingresso in Valle sino poi al limitare del Monte Bianco ci si accorge di come, nella vallata centrale, il paesaggio sia stato lavorato dalla viticoltura e gli stessi toponimi di tante località sono il segno tangibile di come quest'attività agricola fosse fortemente ancorata alla comunità. Ma quel che stupisce ancor di più è come il vino (qualcuno l'ha paragonato al petrolio, all'oro e al caffè) abbia ormai creato, con una diffusione sempre più vasta nel tempo, una rete di produzione in zone nuove (complice - lo si vede anche in Europa - del progressivo riscaldamento del pianeta) e soprattutto aumentano i consumatori, pur tenendo conto di chi, per motivi religiosi, non consuma alcolici. Mentre per noi cristiani il vino è elemento fondamentale della Messa. Il terzo interesse riguarda l'evoluzione tecnologica di questo mondo, che sembra ricercare il meglio delle tradizioni del passato con l'impiego, tuttavia, di tecniche moderne che forgiano i vini di qualità. Ieri ad Alba ho visitato due delle cantine della famiglia Ceretto. E colpisce come la prospettiva di una viticoltura biodinamica, con meno chimica e trattamenti, fatta di attenzione alle piante anche con la riacquisizione di vecchie tecniche, ad esempio per la fertilizzazione l, si sposi con l'utilizzo di attrezzature moderne per il processo di vinificazione, che evitino l'uso di lieviti e altri "correttivi". Siamo nelle Langhe e nel Roero, angolo straordinario del vicino Piemonte e la stessa proclamazione - con il Monferrato - di Patrimonio dell'umanità dell'Unesco è solo un'aggiunta ad un lavoro di valorizzazione del territorio, contando da tempo, anche senza bisogno di un label, sul proprio patrimonio culturale nel senso più vasto del termine. Ma l'italiano "territorio" non rende a pieno parlando di vino, prodotti e cibo quel "Terroir", che così può essere definito da dizionario "Région, province, pays considéré(ée) dans ses particularités rurales, ses traditions, sa culture, ses productions et du point de vue du caractère des personnes qui y vivent ou en sont originaires". Questa amalgama è rinvenibile nei vini dei Ceretto con la capacità inventiva di dar vita, ad esempio con l'"Arneis" chiamato "Blangè" o con il rosso chiamato "Monsordo" ("Cabernet", "Sauvignon", "Merlot" e "Syrah"), a vini originali, cui si accompagnano "Dolcetto", "Barbera", "Nebbiolo", "Barbaresco" (per me il meglio!), "Moscato" ed "Asti spumante" in diverse declinazioni. La tavola, nel senso di ristorazione, e assicurata in piazza del Duomo a Alba dallo chef stellato, Enrico Crippa, e dal ristorante piemontese dalla denominazione che è già un programma, "La Piola". Non mi soffermo sugli altri prodotti del territorio e sui "Terroirs" di altri Paesi europei da cui i Ceretto importano e neppure sulle loro azioni di mecenatismo in campo culturale proprio per evitare di farne un ritrattino che paia "pubblicitario", di cui per altro non hanno alcun bisogno. Assaggiate, con calma e con spiegazioni competenti, i loro vini e saranno loro a dirvi più quanto si possa scrivere. Trovo che il vino di qualità questo sa trasmettere. Si tratta, dunque, di capire come queste storie di successo, che hanno anche in Valle d'Aosta degli esempi, possano consentirci sempre più di riflettere come il nostro angolo di Alpi, per mille ragioni, sia un "Terroir" dalle enormi potenzialità, che vanno messe a sistema e che sono uno dei potenti antidoti contro la crisi incombente e il ruolo decrescente del settore pubblico.