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04 ott 2014

Federalismo e piccole patrie

di Luciano Caveri

Per fortuna non ci sono solo pentiti del federalismo. La "nouvelle vague" non investe, infatti, il filosofo veneziano Massimo Cacciari. Nella sua rubrica su "L'Espresso" ribadisce quel che noi federalisti diciamo da tempo, tristemente inascoltati. Ecco Cacciari all'attacco: "Assumere la vittoria del "no" a testimone di un mutamento di clima a proposito di micro-nazionalismi, indipendentismi e secessioni può voler dire soltanto insistere testardamente nel rifiutare di comprenderne le cause storiche e sociali, o ignorare come affrontarle". Contro questa anacronistica visione "statocentrica" attacca Cacciari: "Sotto la pressione opposta e complementare delle potenze globali e dell'esplodere dei movimenti, fra loro diversissimi, alla ricerca di identità locali e nazionali, la via da percorrere non poteva che essere quella di un autentico federalismo, sia all'interno di ciascun Stato, che a livello dell'Unione. Non si è voluta neppure riconoscerla. La crisi economica, per sua natura fattore di scelte accentratrici, sembra averla definitivamente affossata. Col risultato che quelle che potevano essere governate, ancora due decenni fa, come rivendicazioni volte a ottenere un nuovo foedus, appunto, fra governo centrale e autonomie nazionali, regionali e locali, si sono trasformate in lotte dichiarate per una completa indipendenza". Poi, più avanti, un vaticinio per il futuro, dopo la notizia certa dell'indizione del referendum in Catalogna, e quello che viene definito - gioisco e condivido - "il suo esito scontatissimo". Ecco Cacciari: "Comprenderanno le nostre nobili e antiche famiglie socialdemocratiche, popolari, gaulliste, che il vecchio Stato, col suo potere indivisibile e i suoi sacri confini, vive una crisi irreversibile da cui non si uscirà mai attraverso una sua riproduzione allargata su scala europea? L'unità politica europea diverrà un'idea spettrale, travolta da indipendentismi di ogni tipo, se finalmente non sapremo declinarla in chiave federalistica". Poi, in chiusura, ricorda la "questione settentrionale" e la necessità, "perché non crepi l'intero Paese", che ci sia il federalismo. Applaudo convintamente e fischio tutti gli spergiuri che, al primo stormir di fronde, sono passati dal federalismo presunto al centralismo rampante. E' singolare che nello stesso numero del settimanale sia il vecchio direttore Eugenio Scalfari, nel suo "Il vetro soffiato", che pone lo stesso problema da un'altra visuale. Così dice, in un articolo ricco di suggestioni: "Questo delle piccole patrie è un sentimento che si va diffondendo in Europa sia con motivazioni di sinistra che di destra". E aggiunge più avanti: "Il localismo non rinnega la società globale ma ne delinea in diversi spicchi. La globalità è la scorza dell'arancia, la localizzazione si identifica con gli spicchi che compongono, uniti insieme, la polpa del frutto". Poi la conclusione, dove non si parla di federalismo, ma mi domando di cos'altro potrebbe trattarsi. Scalfari: "Ci troviamo insomma di fronte ad un duplice respiro del mondo: si allargano e si restringono i polmoni, aumenta il disagio di globalizzazione e resuscitano le piccole patrie. Quando fenomeni del genere sì mettono in moto eventi piccoli possono avere conseguenze impreviste e catastrofali. Perciò occorre non disconoscere il bisogno delle piccole patrie ma tener vivi i valori che aumentano lo spirito di umanità, di compassione e di fraternità della specie in tutte le sue varianti affinché esse apportino maggiore ricchezza e non guerre, negazioni e rovine". Io riconosco nelle parole di Cacciari, ma anche nella visione umanista di Scalfari il disegno per la Valle d'Aosta di domani, ripartendo da idee e valori, offuscati in Valle in questi anni.