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24 set 2014

Dalla pellicola al digitale

di Luciano Caveri

Una volta le tecnologie rivoluzionarie mettevano un sacco di tempo ad imporsi e ciò non permetteva ai contemporanei di godere delle scoperte, se non in rari casi. Per cui i mutamenti derivanti dalle novità attraversavano in genere la vita, anche perché più corta, di tante generazioni. Oggi le innovazioni si affermano subito e ti travolgono e, se non stai al gioco, finisci per essere buono per essere messo nella teca di un museo, come la "Mummia di Similaun". Posso dire di aver vissuto il periodo della florida vita della pellicola (lei, la striscia di celluloide!) e poi di aver vissuto l'avvento dell'elettronica e delle tecnologie digitali ancora in espansione, che l'hanno di fatto seppellita nell'uso comune. Da bambino, c'era ancora l'uso domestico dei filmini. Si potevano - credo che i primi che ho visto fossero in 8 mm - vedere in casa o su di uno schermo o sul muro attraverso apposito proiettore ed erano muti. Ricordo tanti fumetti e quelli che un tempo si chiamavano le "comiche", tipo "Charlot" o "Stanlio e Ollio". Ricordo poi che negli anni Settanta, a Champoluc, un giovanissimo Isidoro Bosco, figlio dei proprietari all'epoca di una grande azienda di carne piemontese, deliziava i suoi ospiti con la proiezione dei film in copie da 16 mm, che era una vera sciccheria da "vip". Ovviamente la pellicola dominava anche la fotografia: ricordo bene i primi apparecchi - prima delle piccole compatte della "Kodak" - con cui dovevi capire in modo intuitivo i tempi d'esposizione a seconda delle circostanze, prima che gli automatismi, via via sempre più sofisticati, intervenissero. Un anno, nel 1976, lavorai d'estate da un fotografo di Imperia, Rosolino Mangiapan. Scoprii i segreti dello sviluppo e di impressione della pellicola in bianco e nero (comprese le fototessere da ritoccare con la "matita grassa"), mentre il colore veniva già trattato in appositi laboratori. Mangiapan vendeva anche costose macchine fotografiche, di cui mi spiegava il funzionamento. Ma quel che più ho vissuto è la pellicola in movimento. Nei giorni scorsi mi sono fatto riversare su dvd la vastissima produzione filmica fatta da mio papà a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta con cineprese prima in 8 e poi in "super 8" senza pista audio. Sono filmini familiari, con soggiorni montani e marini, gite varie, feste, ricorrenze e anche soggetti paesistici e di vita rurale che mio papà girava nella sua attività di veterinario. Assieme al corposo ma disordinato insieme di foto di famiglia, queste pellicole - in cui figuro in varie età sino ad esaurimento della passione paterna - sono divertenti e commoventi, talvolta noiose per una certa ripetitività. Certo l'arrivo dell'elettronica, sino ai palmari che fanno i video, ha cambiato tutto, anche se molto materiale nel cambio degli standard elettronici sparisce di scena e si deteriora ben diversamente da pellicole conservate all'asciutto. Nel mio lavoro in televisione ho seguito progressioni del tutto simili: sono arrivato che la pellicola spariva e sopravveniva un'elettronica ancora costosa. Ricordo la telecamera "Thompson" da cinquanta milioni di lire comprata da "RTA - Radio Tele Aosta", oggetto di muta adorazione. Poi la straordinaria esperienza "Rai" con tecnologie in continua evoluzione e questo a breve dovrebbe portare anche in Valle alla digitalizzazione della parte produttiva. Saranno pensieri nostalgici, ma sia chiaro che l'evoluzione tecnologica è un gran bene. Non è come il rimpianto gusto d'antan della "Fontina" o il sapore indicibile delle pere martine di quel certo albero.