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18 ago 2014

I gufi di Renzi

di Luciano Caveri

Per il premier Matteo Renzi il modo più espressivo e invero inusuale nella politica italiana è l'utilizzo, specie per delle frecciatine, di "Twitter". Un suo utilizzo consente di certo spontaneità e immediatezza, ma ha la caratteristica di lasciare traccia anche di quanto si scrive d'impulso o anche di quando si assume un impegno, di cui prima o poi si chiederà conto. Nei 140 caratteri consentiti dal "social", Renzi spesso utilizza un termine contro gli avversari per lui meritevoli di essere fulminati: "gufo", riferendosi proprio al noto uccello rapace notturno. Ancora ieri ha detto: «Non lasceremo il futuro ai gufi». E allora, come talvolta faccio, diamo un'occhiatina a come nasce questo termine, "gùfo", risalente all'inizio del secolo XIV. La parola è romanza di origine latina, anzi del latino tardo "gufōne", che - con sottrazione del falso suffisso accrescitivo - diventa appunto "gufo". Nel latino classico era "būbo", in quello rustico si usava "būfo". E' chiara dunque l'origine imitativa dal verso del volatile e lo era anche nella tradizione indoeuropea, come dimostrano il greco "býas" e l’armeno "bu", che trovo meravigliosamente sintetico. Evidente che anche il francese "hibou" fa parte della stessa storia. La definizione "gufàggine" risale, invece, a metà Ottocento e va collegata ad una "persona di umore tetro", mentre "gufàre" - che piace di sicuro a Renzi nel più recente significato di "portare sfortuna" - arriva dal XV secolo e voleva dire "beffare soffiando nel pugno per imitare il gufo". Insomma, uno sfottò. Ricordo che da bambino era un giochino che si faceva ma senza malizie. Matteo Renzi ha classificato, con l'appena citata definizione di "menagramo", come "gufo" chiunque lo critichi, prevedendone poi tre varianti: "gufi indovini", "gufi professori" e "gufi brontoloni". E' stato il settimanale "Panorama" a sostenere che, fra i "gufi indovini", va annoverato, come esempio, Renato Brunetta. Nella categoria "gufi professori" c'è Stefano Rodotà, mentre Stefano Fassina è uno dei "gufi brontoloni". A ciascuno definire, caso per caso e polemica per polemica, con quale esatta classificazione vengano impallinati dal "fiorentino". A me - per il poco che conta e a sua difesa - il gufo piace: l'ho appena rivisto al "Parc animalier" di Introd assieme ad altri volatili simili, come civetta (nota per essere con la sua presenza presagio di morte) e barbagianni (anche lui associato alla sfortuna). Trovo molto bello il raro gufo reale ("bubo bubo"), presente anche in Valle, dove gode di speciale protezione proprio a tutela di quella tranquillità che gli è necessaria. Certo questi uccelli notturni - e la notte inquieta noi mammiferi dormiglioni e paurosi - si portano dietro secoli di superstizione, dovuti alle loro fattezze, alle espressioni del muso (specie gli occhi ipnotici), ai versi sinistri e forse anche al modo di volare. Comunque sia, quando ne leggi le abitudini, hai la conferma che si tratti di uccelli timidi e riservati, ben distanti da quella logica antropocentrica di farne dei porta sfortuna. Sostenere che qualcuno porti male - lo dico immaginando la vita terribile di chi si trovi a portare la croce di questa nomea - non solo è una cattiveria, ma è anche un'evidente sciocchezza. Ma chi è superstizioso è da sempre pronto a tutto ed è una brutta storia. Per cui è vero che "gufo" non è una parolaccia, ma nasconde una serie di pregiudizi e di credenze di cui si può fare a meno, soprattutto se ci si scherza, ma con quella punta di veleno che ferisce.