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30 lug 2014

La chiamano "tagliola"

di Luciano Caveri

Ho già detto più volte e spiace persino ripeterlo come io non sia affatto convinto che di questi tempi - con l’economia che va ancora male e una crisi a raffica ovunque e per chiunque - la magia necessaria sia fare la riforma costituzionale, uccidendo - come se fosse una "macumba" - il Senato (ma i 630 deputati sono sani e salvi) e centralizzando lo Stato in barba alle Regioni. Ma non solo. Ci sono meccanismi sui decreti legge e sulle nomine topiche - Presidente della Repubblica e membri della Corte Costituzionale - che inquietano e incombe l'Italicum, nuova legge elettorale, e il prossimo giro di giostra sarà - così pare - il presidenzialismo. Il "pacco dono", nel suo disegno, non convince molto. La fretta, si sa, fa i gattini ciechi. Sono per natura un riformista, penso cioè che la Costituzione repubblicana non sia un tabù e non sia intoccabile neppure nella famosa prima parte. Ma le riforme sono, per definizione, una materia delicata, che rischia di esplodere se manovrata senza l'accortezza necessaria e con logiche del genere "prendere o lasciare". Se così fosse stato durante la Costituente, che ha portato alla Costituzione vigente, sarebbe stata una tragedia e invece allora si cercarono formule di intelligente compromesso, anche se - bisogna essere onesti - molti articoli della nostra Carta costituzionale (e purtroppo anche del nostro Statuto d'autonomia) sono rimasti inespressi. Per questo non mi convince affatto il fatto che la parola del giorno sia "tagliola". Mi riferisco a quel meccanismo, che tra poco spiegherò, che porterà ad avere il primo voto, ma si sa che saranno necessari altri tre voti nella logica della doppia lettura di una riforma costituzionale, prima di Ferragosto. Insomma, l'ultima spiaggia del confronto parlamentare è quella ferragostana e questo si presta a mille ironie. Certo l'uso del termine "tagliola" non è molto beneaugurante, perché ricordo come si tratti di un vecchio termine di origine indoeuropea, che indica una trappola per piccoli animali ed è sempre bene aspettare la fine per vedere chi ci finirà nella tagliola. Capisco come per chi fa politica sia comunque meglio della parola "ghigliottina", ben più moderna, pensando alla data di nascita e di morte del dottor Joseph-Ignace Guillotin (1738-1814), che ne propose l'uso durante la Rivoluzione francese. Al di là dell'immaginifica tagliola, degna di un "trapper" o "trappeur" canadese, quel che conta è l'articolo 55 del Regolamento del Senato, il cui comma 5 così recita: "Per la organizzazione della discussione dei singoli argomenti iscritti nel calendario, la Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari determina di norma il tempo complessivo da riservare a ciascun gruppo, stabilendo altresì la data entro cui gli argomenti iscritti nel calendario devono essere posti in votazione". Si stabilisce una data - in questo caso l'8 agosto - entro la quale una legge va discussa e votata, rendendo inefficaci emendamenti e ostruzionismi vari. Tra questi la dichiarazione di voto in dissenso dal gruppo: un modo per perdere tempo, per fare, come si dice in gergo, appunto, "ostruzionismo". Un anglicismo quest'ultimo, dall'inglese "obstructionism", che viene dal latino "obstruere", che non richiede spiegazioni. A me, nel gergo parlamentare inglese, piace di più l'altra definizione, quella di "filibustering", da "filibustiere - pirata" che offre il senso fisico della competizione, che deve maturare anche dentro un'assemblea parlamentare, che è poi un modo codificato per battagliare senza farsi fisicamente del male. Per cui, anche se l'ostruzionismo avrebbe costretto a sedute notturne e al Ferragosto in aula, personalmente avrei preferito questa strada alla "tagliola". Anche perché - vigendo in politica il "chi la fa, l'aspetti" - chi oggi perderà con il passaggio più rapido della riforma potrà poi "vendicarsi", se l'iter giungerà alla fine, con il referendum popolare che potrà essere indetto. Meglio condividere il più possibile ora, piuttosto che appendere la riforma - come sembra già immaginare persino lo stesso Matteo Renzi con in mente, immagino, un plebiscito trionfante, che è altra cosa - al cangiante umore del popolo italiano, che prima proclama eroe l'Uomo della Provvidenza di turno e poi lo caccia con gusto.