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14 giu 2014

Sapiens

di Luciano Caveri

Oggi - come di tanto in tanto mi capita - fatemi consigliare un libro, che dico subito essere interessante, ma impegnativo e corposo (diviso in quattro parti per un totale di venti capitoli). Bisogna prenderlo con il tempo giusto, senza la presunzione di leggerlo di botto. Il titolo è affascinante e fa tremare i polsi per l'evidente ambizione: "Da animali a dèi, breve storia dell'umanità", edito in Italia da "Bompiani" (segnalo qualche zoppicamento linguistico, dovuto alla traduzione). L'autore, di quello che ormai è un bestseller in tutto il mondo, è Yuval Noah Harari, 38 anni, che insegna Storia medievale all'Università di Gerusalemme (non ho trovato una biografia esaustiva in italiano, ma si trova in altre lingue). Riporto l'inizio del libro, scritto dall'autore per svelare la trama: "Centomila anni fa almeno sei specie di umani abitavano la Terra. Erano animali insignificanti, il cui impatto sul pianeta non era superiore a quello di gorilla, lucciole o meduse. Oggi sulla Terra c'è una sola specie di umani. Noi. L'Homo sapiens. E siamo i signori del pianeta. Il segreto del nostro successo è l'immaginazione. Siamo gli unici animali che possono parlare di cose che esistono solo nella nostra immaginazione: come divinità, nazioni, leggi e soldi. Non riuscirete mai a convincere uno scimpanzé a darvi una banana promettendogli che nel paradiso delle scimmie, dopo la morte, avrà tutte le banane che vorrà. Solo l'Homo sapiens crede a queste storie. Le nostre fantasie collettive riguardo le nazioni, il denaro e la giustizia ci hanno consentito, unici tra tutti gli animali, di cooperare a miliardi. E' per questo che dominiamo il mondo, mentre gli scimpanzé sono chiusi negli zoo e nei laboratori di ricerca. "Da animali a dèi" spiega come ci siamo associati per creare città, regni e imperi; come siamo arrivati a credere negli dèi, nelle nazioni e nei diritti umani; come abbiamo costruito la fiducia nei soldi, nei libri e nelle leggi; come ci siamo ritrovati schiavi della burocrazia, del consumismo e della ricerca della felicità". Non ho mai avuto complessi, a dispetto dei deliri antievoluzionisti che traboccano su Internet, del fatto di essere un mammifero primate (cioè scimmia). E se leggo, nel bene e nel male, del percorso del "Sapiens" non posso che - nell'affresco stupefacente che l'autore traccia - restare ammirato di come la nostra specie (nessun altro del mondo animale può leggere e capire queste righe che scrivo) abbia cavalcato un periodo così lungo della storia. Lo ha fatto con intelligenza, ferocia, determinazione e pure per qualche colpo di fortuna. Scoprirete, per me è stato un divertissement, quanto abbia fatto, ad esempio, da collante il gusto umano del pettegolezzo... Harari mette, nelle sue conclusioni problematiche, le mani avanti, dopo aver fornito spiegazioni, proposto idee, allargato orizzonti (su cui non sempre, nel mio minuscolo, concordo). E il finale è che l'"homo sapiens" sta trafficando con materiale pericoloso (genetica, biotecnologie, evoluzione tecnologica e altri fronti borderline) per il "dopo di noi" che inquieta molto e che ne segnerà una trasformazione irreversibile. Potremmo fare la fine del povero Uomo di Neandertal (che ha lasciato parte di suo DNA in noi, suoi avversari), ma facendoci del male con le nostre mani. A meno che qualcosa nel frattempo - bombe nucleari, disastri ecologici o i meteoriti che già uccisero i dinosauri - non ci faccia scomparire d'improvviso, lasciando campo aperto ai resistentissimi topi e scarafaggi. Penso che - comunque finisca la vicenda - non ne sarò spettatore perché ci vorrà troppo tempo, ma i Sapiens che arriveranno al limitare di quel periodo e vedranno gli eventi saranno anche miei parenti, visto che siamo tutti - anche se ce lo dimentichiamo troppo facilmente - parte della stessa umanità.