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14 giu 2014

"Nazione": ci vuole cautela...

di Luciano Caveri

Quando mi capitava in Europa di spiegare chi fossi, come posizione e espressione politica, qualcuno dei miei interlocutori mi diceva: «Quindi se un nazionalista valdostano?». Se non era una conoscenza "mordi e fuggi", mi capitava di dover spiegare che così era, se non che due precisazioni erano d'obbligo. La prima: il termine "nazionalismo" in Italia andava preso con le pinze a causa del suo uso degradato dal fascismo e dal neofascismo. Il secondo è che un nazionalista che professa il federalismo è un nazionalista "sui generis", che ha tolto il veleno del giacobinismo e del nazionalismo violento e aggressivo. Confesso, di conseguenza, di non aver ancora capito dove voglia esattamente parare, quando Matteo Renzi suggerisce che si debba considerare - ma non so se con un vero e proprio cambio di denominazione del Partito Democratico attuale - il successo del PD come concretizzazione di un "Partito della Nazione". La parola non ha una radice negativa, venendo dal latino "natĭo - ōnis , nascita, stirpe, gente, popolo", derivazione dalla radice di "nāsci ‘nascere". Chi ha investigato, ormai tanti anni fa, la nascita della Nazione, fu anche il valdostano Federico Chabod. Il professor Marco Sciarrini dell'Università di Roma, così si espresse, in un convegno ad Aosta nel 2000: «Interrogandosi proprio sull'intreccio tra gli eventi storico-politici e l'analisi della temperie culturale, vera e propria cartina tornasole dei variegati percorsi evolutivi delle identità nazionali europee, lo storico valdostano sosteneva che "... la ricerca del carattere nazionale induce assai più alla storia dei costumi e delle tradizioni morali e, come si cominciò a dire giusto allora, alla "histoire de la civilisation" o "Kulturgeschicht" o "storia della civiltà", che non alla storia politica, "stricto sensu"; più a studiare le idee ed i sentimenti che non i fatti, gli accadimenti politico-militari tanto cari alla storiografica politica del '500 e '600. La poesia stessa fa rivivere lo "spirito dei tempi" assai più e meglio che non un trattato politico o una vicenda diplomatica ...". Quest'affascinante sortita nei campi della produzione culturale in generale e letteraria in particolare era però accompagnata da una severa avvertenza, in cui si ribadivano chiaramente gli elementi metodologici di fondo dello storicismo chabodiano, che, nello specifico, si traducevano nella ferma convinzione che la nazione, modernamente intesa, fosse l'esito più tangibile dei rivolgimenti rivoluzionari settecenteschi. I percorsi pre-settecenteschi, (istituzionali o culturali che fossero) andavano pertanto correttamente inquadrati in una cornice schiettamente protonazionale scevra da quelle inopportune forzature interpretative che caratterizzavano la storiografia interessata più agli esiti che non ai reali, tortuosi percorsi di definizione e affermazione delle identità nazionali». Scusate la lunga citazione, ma penso sia illuminante del doppio regime, appunto quello politico, istituzionale e storico che si accompagna a elementi identitari e culturali, rispetto ai quali vanno tenute presenti anche le particolarità che ci sono in uno Stato o meglio, nel caso italiano, in una Repubblica. Tema complesso, insomma, che invita, comunque sia, alla cautela per evitare che si equivochi sull'uso - da maneggiare con cura come l'esplosivo - del termine "nazione" e del suo "-ismo". Quel nazionalismo che tanti drammi e lutti ha creato, per limitarci alla Storia più vicina, nel Novecento e anche nel primo decennio di questo nostro nuovo millennio. Per cui - lo dico da esterno - prima di togliere "Democratico" in favore di "Nazione", ammesso lo si voglia fare davvero, sarebbe meglio pensarci bene.