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30 mag 2014

La Tavola rotonda

di Luciano Caveri

Sarà che sono cresciuto a pochi passi dal castello di Verrès, per noi paesani territorio di svago e di festa, ma ho sempre amato pensare a come dovesse essere la vita in quei luoghi in epoca medioevale. Così le saghe di quei tempi mi hanno sempre affascinato nelle opere letterarie e anche nella filmica che ci rimanda questo mondo fra storia e fantasia. L'altro giorno, con mio figlio più piccolo, guardavo appunto un film di questo filone di castelli, dame e cavalieri, appartenente a quel ciclo di gran successo attorno alle gesta del famoso Re Artù. Uno dei miti più affascinanti è quello dei cavalieri della "Tavola rotonda". Traggo dalla "Treccani" la voce sul tema scritta da Salvatore Battaglia, celebre professore di filologia romanza di origine catanese. Così scrive e la doppia o di "roonde" è francese antico non un refuso: "Nel mondo fantastico della poesia cavalleresca medievale, e più precisamente francese, con Tavola rotonda (Table roonde) si designò un'ideale istituzione eroica sorta nella meravigliosa corte di Artù (Arturo), il leggendario re dei Bretoni: re e corte che furono assunti dalla letteratura europea, per tramite francese, a modello di perfetta e inimitabile cavalleria. La "Tavola rotonda", intorno a cui si disponevano i cavalieri arturiani, quando il re li radunava a corte, era il simbolo per chi ne faceva parte dell'assoluta eguaglianza e rappresentava per ciascuno l'impegno indefettibile di eccellere in ogni impresa d'arme". Interessante questa simbolistica, che da ragazzi ci faceva battere il cuore. Prosegue la spiegazione: "L'espressione ci risulta per la prima volta dal Brut (o, con titolo più complessivo, "Geste de Bretons"), del "chierico" Wace, che in questo vasto poema traduceva in facili ottonarî francesi, intorno al 1155, la leggendaria "Historia regum Britanniae" di Goffredo di Monmouth. Il poema di Wace è la prima vasta compilazione francese, attraverso cui si divulga il gusto per le leggende bretoni, connesse tutte intorno alla corte del re Artù, che nella tradizione bretone rappresenta l'eroe indigeno, nobile e infelice difensore della libertà nazionale contro gli Anglosassoni, i barbari invasori d'oltremare (secondo la realtà storica si dovrebbe risalire agli anni 450-510 d.C.), ma che nella nuova e più squisita anima francese si tramuta nel mitico depositario d'ogni cavalleria". Immaginate per un attimo, fatta la tara da ogni visione artificiosa e letteraria, l'ambientazione negli straordinari castelli valdostani, comprensiva da quell'oggetto mitico, il "Santo Graal", da cui deriva la grolla valdostana odierna. Si legge più avanti, dopo una spiegazione dettagliatissima delle opere che si susseguono e si intrecciano fra di loro, questa citazione di Goffredo di Monmouth (1135), in cui è evidente l'allusione alla "Table roonde" ed ai suoi cavalieri:

"Por les nobles barons qu'il ot... Fist Artus la roonde table, Don Breton dieut mainte fable: Iloc seeient li vassal Tuit chevalment et tuit igual".

Questo concetto della "Table Ronde" mi piace molto rispetto al futuro politico della Valle d'Aosta in anni difficili, in cui più che subire i cambiamenti bisognerebbe cavalcarli, come i cavalieri medioevali. Viene da dire, dunque, che questa logica circolare, fatta di un dialogo vero (non le larghe intese "ad usum Delphini") fra tanti soggetti, senza confusione fra i ruoli e sulla base davvero di un "idem sentire", dovrebbe essere un'occasione importante per progettare il futuro.